venerdì 14 novembre 2008

Los momentos

No todos los momentos duran lo mismo. No todos son instantes, pero todo momento es suficiente. Los momentos son esferas, càpsulas que contienen sensaciones y objetos diferentes; sun cuentas, perlas. Sòlo que nada los une. De un momento a otro hay un salto, una intermitencia. De un momento a otro todo muere y vuelve a renacer.

A volte non ti accorgi subito che stai saltando. A volte sì.

martedì 28 ottobre 2008

Il serpente... che si morde la coda



Hola chicos, que tal? Mucho tiempo ha pasado desde la ultima vez...

Sfrutto per il titolo un'idea di Damiano. Ed ora vi racconto.

Bel fine settimana, proprio pieno. Festa di laurea del Bonzo ed, in contemporanea, compleanno di Unzio. Tutti e due questi eventi di portata cosmica si sono verificati... nella casa di Tignale!

Invitati un milione di persone, da Brescia e provincia, ma anche dalla Puglia, dall'Emilia e... da tutta la penisola iberica. Personaggi indimenticabili gli spagnoli, se cercate nei post passati relativi ai viaggi a Limoges ne troverete traccia. Hanno reso la serata ancora più movimentata di quello che già sarebbe stato! Non scenderò nei dettagli per ovvie ragioni di convenienza, comuque è uno di quei fine settimana che si racconteranno molto, in futuro, fino a farlo entrare nella mitologia... Domenica sera ci si saluta solennemente davanti ad un kebab, in stazione, e mi avvio verso casa stanco, ma sereno e contento. Crollo nel letto e prendo sonno prima di toccare il materasso.

E qui comincia il divertimento. La mattina dopo sveglia alle 7:30. Strano che Damiano non ci sia. Mi faccio una doccia, e giro per casa nudo con grande soddisfazione. Alle 7:45 Damiano si sveglia, e, vedendomi senza veli si mette subito di buonumore. Gli chiedo perché si sveglia così tardi e lui mi svela l'arcano: l'ora solare! Per fortuna che Erika si è alzata dopo di lui...

Vabbé, mi son svegliato un'ora prima del previsto, vado in ufficio. In pausa pranzo corro a casa, passando dal supermercato. Compro anche una cornicie e, montandola, mi foro il palmo di una mano. Sangue a fiumi. Aggiusto con cerotto. Cucino al volo e carico in macchina il mocio, l'ammoniaca e tutte le altre munizioni per la lotta contro i nemici dell'igiene. Poi spiegherò perché.

Torno a casa alle 17:30 perché il tecnico della lavastoviglie l'ha aggiustata e me la porta. La installo in bagno. Si, la alvastoviglie in bagno: che c'è di male? Nella caasa (ormai solo con due a e mezza) sono ben altre le cose di cui preoccuparsi... Qualcosa in lui non mi quadra. Dice: "l'ho pulita...", "era un contatto ossidato...", "ho fatto una revisione completa..." tutte frasi equivalenti alla classica: "Non ho trovato niente, ma devo pur giustificare i 70€ che ti chiedo!"

Sospettoso, la collego e parte. Salvo fermarsi 15 minuti dopo che il tecnico se ne è andato. Ostie tra me e me, soprattutto per i 70€, ma anche per la discreta montagna di piatti che incombe in cucina. Allora, colto da un raptus, la aggredisco, stacco lo scarico dal muro e... ho un'illuminazione! Nel tubo di scarico nel muro c'è un tappo. Questo è il motivo per cui non andava. Mi scoccia un pochino (si...) per i 70€, ma almeno ora la caasa ha ufficialmente un bagno dotato di lavastoviglie. O anche una lavastoviglie da bagno. Non è ancora chiaro come avverrà il trasferimento di piatti dalla cucina, per ora sfruttiamo la classica catena di Sant'Antonio a 2/3 persone.

Nel frattempo arriva anche Damiano, e per fortuna mi costringe a cenare. Poi, entusiasti come due bambini il 14 dicembre (che, per i non Bresciani, è il giorno dopo Santa Lucia. E ne sapete quanto prima...), carichiamo il nuovo (ha solo 13 anni) elettrodomestico. Il tubo di scarico momentaneamente nel lavandino. Controlliamo il primo ciclo che il tubo non esca. Tutto a posto. E si parte per Tignale.

Perché a Tignale avevo lasciato un paio di conti in sospeso con i nemici dell'igiene. Diciamo che dovevo fare le polveri... Così, spolverando, io e Damiano, per circa due ore, abbiamo passato la serata. Da notare che Damiano era pure malato e che si è offerto volontario, gettando il cuore oltre l'ostacolo... ed ha pure dato un contributo essenziale, in quanto io mi sono dimsotrato un po' sensibile alla polvere...

Comunque, dopo aver raccattato il nostro arsenale chimico, siamo tornati in città, con Damiano che ronfava beatemente sulle note psichedeliche degli Osanna ad un discreto volume, per prevenire miei colpi di sonno.

Appena dentro casa andiamo a controllare la lavastoviglie. Che ovviamente è nel mezzo di un lago di acqua, sapone (per lavastoviglie) e resti di cibo. In realtà lo sapevo. Ne ero sicuro.
Sfoderiamo nuovamente il mocio, che era già caldo dalle pulizie di Tignale. E comincio ad asciugare. Purtroppo nei primi anni '90 il consumo di acqua non era un problema. Così le lavastoviglie erano progettate per usarne tanta. Tantissima. Cavi elettrici bagnati. Cosa molto sicura in una casa anni '70 con impianti elettrici degli anni '60. Comunque ho raccolto più di 20 litri di acqua, ma per terra ce n'é ancora molta, si asciugherà. Oppure trafilerà nei muri, facendo arrugginire le verghe nei pilastri portanti, e nel giro di una settimana la casa crollerà. Non ci resta che aspettare e vedere cosa succede.

Oltre a questa curiosità voglio anche vedere il risultato della pulizia del pavimento con detersivo da lavastoviglie. Se funziona bene lo adotto al posto del Fabuloso, così elimino un falcone dall'armadietto dei detersivi. Che ne dite? Ed il prossimo passaggio sarebbe sostituire anche quello per la lavatrice... si, come Maxwell, formulerò la teoria dell'unificazione delle forze fondamentali... del lavaggio...

Questo è puro delirio.

Buonanotte,

ENRICO

mercoledì 1 ottobre 2008

I ritorni


Scusate, scusate!

So che vi aspettavate qualcosa di scritto un po' prima, magari anche solo due righe. Qualche frase, una riflessione, per dare un giusto un epilogo al viaggio che vi ho raccontato (quasi) per filo e per segno. Il fatto è che in queste tre settimane (che mi sembra siano durate come un anno) non ho avuto un attimo di fiato. Tante persone da rivedere, tante incombenze pendenti da troppo tempo, tanto lavoro.

Naturalmente mi rendo conto che sto correndo il rischio di impantanarmi , e quindi di ritrovarmi a breve nella stessa situazione che ho provato nei primi mesi del 2008. Ricordo bene. L'impressione di avere una vita piena, ma senza sapere esattamente di cosa; l'asfissiante sensazione di non avere tempo, di non avere spazio, ed allo stesso tempo di vivere nel vuoto; l'angoscia di stare in mezzo alla gente e di sentirsi assolutamente solo. A porre fine a tutto questo c'è stato un luglio catartico: tempo di traslochi, di addii, di rotture, di fughe. Lasciandosi dietro terra bruciata. Che, come si sa, è ricca di potassio. E quindi fertile. Purtroppo è adatta soprattutto per coltivare tuberi...

Però so che ora le cose sono diverse. Ovvero, sono io che sono diverso. Per il viaggio e per quello che ha rappresentato. Per le persone che ho conosciuto, e che mi hanno regalato un pezzetto del loro modo di essere. Per gli interminabili pensieri che mi sono portato oltreoceano come gomitoli, per poi svolgerli al vento dell'altipiano andino, nelle lunghe giornate sui pedali. Alcuni di questi pensieri li ho lasciati la. Altri li ho riavvolti e riportati in Italia.

Ora è tutto diverso. Ed ora è il tempo di iniziare a ricostruire. So cosa devo fare, e vorrei cominciare a far muovare le cose prima che mi passi il dolore al polso. Ultimo, fisico, souvenir delle Ande.

A presto!

ENRICO

giovedì 11 settembre 2008

Argentina, giorno -1


Carissimi,

e' passato un po' di tempo dall'ultimo post, vero? Siete ancora tutti li, a controllare ogni giorno se scrivo qualcosa? Beh, l'esperienza mendozina rimarra' come un buco nero su questo blog... ma puo' darsi che mi lasci scappare qualche racconto di persona, con qualcuno... sono successe tante cose, e per me e' stato un periodo indimenticabile... soprattutto grazie alle persone con cui ho passato questa vacanza, Edu, amici e famiglia in prima fila... ne conservero' un ricordo dolce ed intenso.

Ormai il viaggio volge veramente al termine, non mi sembra ancora vero che in circa 24 ore un aereo mi strappera' da questa terra per riportarmi in Europa. Non mi e' capitato molte volte di provare una sensazione di eradicamento cosi' forte per il rientro da un viaggio. Ho sempre creduto che alla fine fosse naturale una certa voglia di tornare. Questa volta, invece e' diverso. Lascio diverse cose in sospeso, rimango con tanta curiosita' e voglia di conoscere di piu'... le persone, le citta', il modo di vivere argentino mi hanno conquistato...

Da quando ho rimesso piede a BA, rendenomi fisicamente conto di quanto fossi vicino al rientro, vivo in un sogno. Mi sembra che tutto sia da guardare, toccare, annusare, se potessi piegherei l'argentina intera e me la metterei in valigia... Sto visitando gli ultimi angoli di citta' che ancora non avevo visto, e, come attratto magneticamente, ritorno nei posti che piu' mi hanno colpito. Mi immergo nella folla, mi apparto su una panchina, faccio foto a scorci e a dettagli...

Mi dispiace pensare a cio' che mi manchera' quando saro' in Italia (e ci sono taaante cose...). Allora pongo la cosa diversamente. Penso a cio' che portero' con me, pur sapendo che non sara' facile.

Il modo di vivere argentino, rilassato ed ordinato. C'e' sempre tempo di bersi un mate, di pranzare con calma, di camminare a passo lento, anche durante una giornata di lavoro. E cos¡' a BA in Av. Florida, o ai piedi dei grattacieli di Puerto Madero, oppure in Mendoza, nel paseo peatonal si vedono in egual misura businness men che parlano al cellurare e corrono, ed altri che chiaccherano agli angoli delle strade.

La naturale ed umana simpatia verso lo sconosciuto. Non conto piu' i sorrisi che ho scambiato con tutti, sulla metropolitana, sui marciapiedi, nei negozi. Non c'e' un doppio fine, non c'e' niente da dirsi: solo che quando due sguardi si incrociano e' naturale mostrarsi amichevoli. Al contrario da noi, camminando per le strade di una citta' in un giorno lavorativo, si indossa una maschera neutra e grigia, attraverso cui l'altro non puo' vedere niente... ma perche'?

La leggerezza verso i programmi e gli orari. Chiaro che ci sono momenti in cui la puntualita' e la programmazione sono fondamentali, ma non dovrebbe essere sempre cosi'. Questo e' un difetto piu' mio che del modo di vivere italiano. Quindi cerchero' di essere un po' piu' flessibile e lasco con gli orari, e di non programmare proprio tutto, soprattutto nel tempo libero...

Il mate. A parte il sapore che me encanta, mi entusiasma il rito di condividerlo con tutti. E pensare che alla maggioranza degli stranieri disgusta l'idea di succhiare dalla stessa cannuccia... Torno con 1,5kg di mate in "valigia" (due casse di cartone tenute insieme dal nastro adesivo...) da distribuire equamente tra i tre prorpietari (gli unici?) di mate a Brescia: Damiano, Marco ed io.

Il tango. Mi si e' aperto un mondo, ritorno con motivi, ritmi, canzoni che ho ascoltato e riscoltato. Continuero' fino a farmele entrare nell'anima.

Il castillano. Una lingua fantastica, tanto simile e tanto diversa dall'italiano. Mi intriga, voglio studiarla di piu', per arrivare a parlarla veramente bene. Perche' l'inglese sara' anche utilie ed universale, ma il castillano, come l'italiano, e' poesia anche quando e' in prosa.

Abbraccairsi per salutarsi. All'inizio, essendo io poco aduso a questo sistema, ero in imbarazzo e causavo imbarazzo. Ora preparatevi che quando torno via abbraccio tutti. Mi piace un sacco: e' un modo fisico e diretto per mostrare amicizia e affetto. E poi, a pensarci, e' veramente ridicolo quando mi presentano una ragazza stringerle la mano: molto meglio un abbraccio con bacio sulla guancia, o no?

E piu' ci penso piu' ci sono cose che posso portare via con me. Bene bene. Ora pero' devo terminare il mio giro nel quartiere malfamato de La Boca, e poi andare a mangiare il prosciutto al museo del prosciutto. Come aperitivo condividero' un mate con i tre israeliani con cui ieri ho fumato il narghile.

Questo credo che sara' l'ultimo post dall'argentina.


Ciao a tutti,

ENRICO

martedì 26 agosto 2008

Argentina, giorno 36

Ricontrollando il conteggio progressivo dei giorni mi sono accorto di un gravissimo errore: l'ultimo post credo sia stato scritto nel giorno 33, non 32, e quindi oggi e' il giorno 36. Credo. Avrei dovuto fare delle tacche da qualche parte per contare meglio i giorni...

Qui la situazione e' grave: abbiamo seri problemi a gestire orari e date, e fin'ora siamo riusciti a prendere autobus ed aerei basandoci esclusivamente sulla posizione del Sole ed arrivando ogni volta con anticipi clamorosi! Abbiamo il prezioso orologio-altimetro che suona ogni mattina alle 9, ma viene puntualmente ignorato... salvo poi svegliarci in preda al panico temendo di aver perso coincidenze, mezzi di trasporto, appuntamenti...

Insomma il rientro nella civilta' e' stato abbastanza traumatico. Prima sera a cena, pizzeria italiana. "Due pizze grandi, ed una cerveza". Il cameriere, strabuzzando gli occhi: "Ma siete sicuri? Due pizze sono 16 porzioni!". Noi: "Si, appunto. E veloce!". Avete presente Bud Spencer e Terence Hill in uno dei loro pasti che sono passati nella storia del cinema? Ecco, non sappiamo ancora chi possa essere l'uno e chi l'altro, ma la scena era di quel tipo. Ci siamo spazzolati i due taglieri, insieme a 2 litri di birra ed alla fine abbiamo chiesto anche il dolce. Ed io avevo ancora un pochino fame...

Poi tenete presente che abbiamo entrambi una barba di piu' di un mese. La mia e' del tipo grande saggio, quella di Damiano tipo elfo dei dei boschi. Ed indossiamo gli stessi vestiti da ormai piu' di 15 giorni. Io in particolare indosso la medesima maglia (quella di gravita' zero) da settimane sia per pedalare che per dormire. Ho due felpe ed un solo paio di calzoni lunghi che non ho mai lavato ... e' bello vederne le innumerevoli macchie e cercare di associare ad ognuna di esse un accadimento: una colazione, una sera passata a lubrificare la bici, una scivolata nella polvere...

Ed ora sta tutto per finire. Mi sono sentito un po' a disagio... e cosi' abbiamo fatto una lavatrice, ed ora i vestiti dovrebbero essere asciutti. Non so come reagira' il mio corpo indossando qualcosa che non ha il mio odore... ora vado a farmi una doccia e poi mi vesto. Vi sapro' dire.

Ma la barba no, quella non la taglio!

Saluti a tutti,

ENRICO

sabato 23 agosto 2008

Argentina, giorno 32

Foto d'archivio: questi siamo noi all'arrivo sull'Abra de COndor, 4100m (ricordate?). Mi ha spedito la foto un argentino che era li con la sua compagnia.

Dopo una lunga assenza eccoci di nuovo, per una delle ultime puntate del nostro viaggio nella cordigliera. Abbiamo parcheggiato le bici. Definitivamente. Il contachilometri dice: 1519. Da giocare al lotto appena torno. Scusate il ritardo, ma gli ultimi giorni sono stati sorprendentemente pieni, nonostante a Cachi respirassimo un'aria rilassata e tranquilla. Abbiamo avuto di che pensare e di che pedalare...

Questo post, sara' inevitabilmente un po' "psicologico". Damiano mi avverte che questo tipo di post risultano spesso un pesanti e noiosi, e quindi di farla breve. Siccome, pero', farla breve non mi risulta facile, cerchero' di inserire qualche racconto di vita vissuta e d'azione che renda un po' piu' scorrevole la lettura. E si va.

Gli eventi hanno fatto si' che siano passati diversi giorni dal post precedente. Giorni pieni di cose, fatte e viste, di eventi, di persone... ed, ovviamente di tanti km pedalati nelle condizioni piu' varie. Io, pedalando, ho pensato spesso al blog. Pensavo a chi lo legge e lo commenta, e cosi' ne diventa un po' protagonista. Pensavo al perche' a volte sento il bisogno di scriverci qualcosa. E a tanto altro. Tante domande, e forse anche qualche risposta.

Da Cachi ci siamo diretti a Molinos. Tappa che doveva essere semplice, ma che ci ha comunque impegnati in piu' di 60km di sterrato, con un passo a 2400m. Molinos e' una cittadina microscopica (tutto concentrato in 9 cuadras), acqua assolutamente non potabile (dicono presenza di salnitro), una scuola ed una chiesa. Ed un albergo che sembra preso direttamente dalle colline toscane e che fa venire voglia di tornare da queste parti con una compagnia diversa... non che Damiano non vada bene... ma da qui in avanti abbiamo visto tanti resort, agriturismi, alberghi rurali, con filari di pioppi assurdamente familiari, tanto carini da far venire voglia di passarci qualche giorno... senza pedalare!

Siamo stati abbordati da Ramon, sedicente professore e ciclista, che si sta preparando per un viaggio che e' una versione ridotta del nostro. Solidale scambio di informazioni: noi gli raccontiamo delle ultime tappe, lui ci indirizza ad un posto per la notte e ci raccomanda un posto a Tucuman.

Uno dei titoli di questo post avrebbe potuto essere "Partenze e ritorni". Nei due giorni passati a Cachi, ho avuto la netta sensazione di scivolare. Scivolare sul ramo di una parabola (o di un iperbole?). Come ogni viaggio, anche questo ha avuto un suo apice, o un perigeo, che per noi e' stato l'Abra del Acay. Attribuivo a queto punto grande valore simbolico, pur sapendo che non potevo aspettarmi niente di piu' di un mucchietto di pietre con un panorama mozzafiato. Pensavo alla fatica, al tempo ed alle energie dedicati per arrivare fin qui. Poco alla volta mi sono reso conto di cosa invece significava veramente. Il valore che assumeva il momento del passaggio a 5000m era dato da cio' che c'e' stato prima e da cio' che ci sara' dopo. E' stato uno spartiacque tra la partenza ed il ritorno. Da un lato l'allontanamento da tutto cio' che avevo e che conoscevo, da cio' che non sopportavo piu' e da cio' che aveva giustificato la mia esistenza sul pianeta fino ad ora (e qui cito qualcuno). Dall'altro tutto cio' che mi aspetta al ritorno, e cio' che sciegliero' di inserire nella mia vita d'ora in avanti. Ed in mezzo un punto a gravita' zero (in realta' con gravita' uguale e contraria alla forza centripeta...) in cui poter lanciarsi in esercizi mentali libero da ogni vincolo logico e formale, librarsi in evoluzioni e voli pindarici, resi possibili solo dalle ocnidizioni speciali di questa situazione.

In tutte le tappe nella Valles Cachaquies, abbiamo sempre di piu' maturato la consapevolezza che tutto stava finendo. Ed io ho cominciato a pensare a casa. Mi sono abbondanato un pochino alla nostalgia, alla celebrazione di tutto cio' che amo dell'Italia e di Brescia e di cio' che mi manca. Ed in alcune cose Damiano mi ha dato una mano.

Per esempio il cibo... Purtroppo la puna, dal punto di vista eno-gastronomico e' un posto decisamente povero. Siamo andati avanti a pollo alla griglia, milanesa, e napolitana per giorni, esultando quando si trovava una zuppa di quinoa. In tenda chiaramente buste knorr. Scacalando l'Abra dell'Infernillo, uno degli ultimi passi, abbiamo deciso di non portare cibo con noi. Eravamo un po' disgustati dai salumi (solo mortadella) e formaggio locali. E, con i morsi della fame, abbiamo fatto un elenco di cio' che vorremmo mangiare appena tornati. Non siamo riusciti a dare una priorita', ma in praatica abbiamo stilato una lista di tutti i piatti tipici della provincia di Brescia e dintorni. Mi manca la semplicita' della cucina italiana, con i suoi ingredienti genuini e scelti con cura. Mi mancano verdure diverse da pomodoro ed insalata. Mi manca la pasta e fagioli. La polenta. Il cotechino con il pure' e le lenticchie. La pasta col pomodoro. Le costine con le verza. I fagioli all'uccelletto. Il risotto con salamina e gorgonzola. La polenta carbonera. E tanto altro, dai primi fino ai dolci...

Ho pensato alle persone che mi mancano. Ho pensato alle cose che avro' da fare, per riavviare una vita un po' diversa dalla precedente. Ho pensato alla mia futura casa, che dovra' presto prendere una forma concreta, con muri pavimenti e tetto... ho pensato alla moto: mi manca! Ho pensato ai progetti lavorativi, e mi sono venute anche un paio di idee, come mi aspettavo. E tutto senza ansia, senza patemi, senza costrizioni, con la serena consapevolezza che avro' da tirarmi su le maniche per raggiungere qualche obiettivo che ora mi e' piu' chiaro. Sono contento.

Per arrivare all'Abra del Infernillo, da Molinos, abbiamo affrontato due tappe. La prima e' stata di 113km di sterrato sabbioso, con salita e discesa per uun dislivello positivo cmulato di 800m. Abbiamo in realta' fatto un errore sull'itinerario: dovevano essere due tappe, soprattutto a causa del fondo sabbioso che costringe a tratti a spingere la bici. Avremmo potuto in qualche modo recuperare il giorno perso. Pero' a Molinos il professore ciclista, Ramon, ci ha detto: "E' impossibile raggiungere Cafayate in un solo giorno". E cosi' abbiamo dovuto farlo. Capite? Siamo partiti dopo aver fatto colazione da Manolo, una mico del professore. Era gia' tardi. Alle 15 avevavmo fatto 40km e ci siamo fermati a pranzare. Ne mancavano 73. Nel seguito ci ha aiutato tanto l'ambientazione magica in cui ci siamo trovati. Rocce levigate dal vento in mille forme diverse. Guglie aguzze. La strada che sembra un toboga che scenda in uno scenario di cartapesta. Da non credere. Col sole al tramonto i giochi di luce ed ombra affascinano e ti costringono a far fotografie. Vorrei che tutti potessero godere di questo posto, ma so che le foto non serviranno a molto. Comunque sono piu' di 700 fin'ora. Arriviamo a 15km da Cagayate e... troviamo l'asfalto! Ancora non lo sappiamo, ma non pedaleremo quasi piu' sullo sterrato. Comunque entriamo a Cafayate che sono le 21, dopo aver pedalato per un'ora e mezza con le frontali e le luci rosse accese sulle borse.

L'impressione e' di essere arrivati a Las Vegas. Cartelloni al neon, tantissimi ristoranti, alberghi, almeno lungo la strada principale. Ci fiondiamo nel primo affitta camere che troviamo, una doccia per toglierci lo strato di polvere di dosso (non mi sono abbronzato i polpacci per l'effetto schermante della polvere!). E ci concediamo una cena luculliana: io prendo una "pizza" di antipasto ed trota (tipica di queste parti). Facciamo fuori una bottiglia di Malbec da 15º ed il mondo ci sorride. Abbiamo l'impressione di aver compiuto un'impresa eccezionale (rispetto alle nostre forze).

L'indomani andiamo a trovare Santiago, amico di Mariano, un ragazzo della nostra eta' che con 3 fratelli piu' giovani gestisce Utama, una fattoria dove producono vino (ottimo a mio parere) e lavorano la ceramica. Facciamo due chiacchere interessanti sulla situazione del campo in argentina. E' bello parlare con una persona che vive in un modo tanto diverso da quello a cui sono abituato. Ed e' sempre un peccato non padroneggiare meglio la lingua, per potersi spingere un po' piu' in profondita' nei discorsi. Staremo con lui fino alle 3 del pomeriggio, quando partiremo alla volta di Amaicha del Valle.

Un altro titolo di questo post avrebbe potuto essere "I viaggi possibili". Negli ultimi giorni, attraversando cittadine sempre diverse ed ambienti tanto contrastanti da sembrare appartenere a pieneti diversi, ho pensato ai miei viaggi. Ho pensato ai viaggi che ho fatto, trovando strane similitudini con luoghi gia' visti: come una cittadina andina puo assomigliare alla Scandinavia? O perche' mai una valle tropicale dovrebbe ricordarmi l'alta Val Trompia? Ed ho pensato ai mille viaggi che potrei fare, intorno al mondo, traendo spunto ed ispirazione da piccoli dettagli, da pungoli nascosti lungo il cammino che stuzzicano l'interesse e la curiosita'. E cosi' ora ho in mente tante destinazioni nuove o vecchie, ma con nuove motivazioni a corredo.

La tappa per Amaicha' e' stata facile: tutto asfalto, solo salita gli ultimi chilometri. Scatto in avanti per fare qualche foto. Trovo un muro con il cartello che da il benvenuto in paese. E' alto poco piu' di 3 metri. Mi ci arrampico. Sono quasi in cima e dal muro di mattoni fango si stacca un bel pezzo, che mi rimane in mano. Cado rovinosamente ed il pezzo di muro mi cade in testa. Bilancio: un po' di escoriazioni ed un polso dolorante, che non mi impedisce di pedalare, ma da abbastanza fastidio. Indosso una polsiera e metto pomata due volte al di. Ben mi sta.

Amaicha' niente di che. Pero' appena fuori dal paese un suggestivo museo alla Pachamama (madre terra) costruito per intero da un sedicente erede della culutra locale (in realta' e' tristemente noto come le epidemia abbiamo rapidamente portato all'estinzione tutte le comunita' indigene, dopo l'arrivo degli spagnoli). Tutto e' costruito con rocce bianche e nere, utilizzando per ogni particolare (dai portoni ai pavimenti) i motivi di terra acqua aria e fuoco caratteristici delle culture delle Valles Qualanchies. CI sono anche tappeti, qaudri, sculture, tutte fatte da Hector Cruz. Quando torno voglio informarmi un po' meglo su di lui, sembra che sia famoso anche in Europa.

E qui partiamo per l'Abra del Infernillo. Saliamo rilassati, e, come ho gia' detto parliamo di cibo, in preda ai morsi della fame. 1100m di dislivello, quota massima 3100m. Bazzecole, pensiamo. Beh, insomma...

Dalla cima del passo scopriamo che l'altro versante della valle e' immerso nelle nuovole. Abbiamo 25 km di discesa che saranno una sofferenza imprevista. La temperatura passa rapidamente da 15º a 3º. E non si puo' fermarsi, e' tardi. Non si vede niente. La vegetazione diventa familiare: pini, piante senza foglie. Scendiamo senza riuscire piu' a muovere le dita, con le gambe gelate (indosso calzoni corti). Ci fermiamo in una pasticceria all'inizio del paese di Tafi che si dimostrera' la milgiore del mondo (ai nostri occhi, almeno!). C'e' addirituttura una stufa a legna. Entriamo che non riusciamo neanche piu' a parlare! Impiegheremo quasi un'ora a riprendere una temperatura normale, due fette di torta ed un te a testa ci aiutano.

Dormimao in un bell'albergo, e l'indomani affrontiamo l'ultima tappa. 100km di asfalto sotto una pioggerellina che e' piu' nebbia che si condensa. Ci abbasseremo di 1600m in 35 km in una valle bellissima. La parte piu' alta ricorda le nostre valli alpine. Mentre in fondo siamo nella giungla tropicale. Infine sbuchiamo nella pampas argentina. Paesini degradati. Negozi chiusi, non si trova da mangiare. Qui si vede che il crack degli anni 90 ha avuto effetti acora evidenti. Entriamo in Tucuman con un tramonto grigio sulla testa. Ci tuffiamo nel traffico frenetico. Bici pesanti e poco maneggevoli. Cartina scritta in piccolo. Guido io e miracolosamente arriviamo al posto per dormire senza troppi intoppi. Scendiamo dalla bici per l'ultima volta e ci beviamo una bottiglietta di vino Utama che ci ha regalato Santiago a Cafayate.

Brindiamo a questo viaggio ed ai prossimi viaggi. Siamo consci di aver fatto una bella cosa, di esserci regalati a vicenda qualcosa che solo noi potevamo regalarci. Prendiamo accordi, che non riveliamo qui, per la prossima avventura in bici. Perche' questo e' certo: ci sara' un'altro viaggio con questo stile!

Ma non subito... ora ci e' venuta voglia di organizzare qualcosa di un pochino piu' comodo... magari da affrontare con una compagnia un meno ristretta... magari in moto... vederemo, la strada e' ancora lunga!

Vi faro' sapere come trascorrero i miei ultimi 15 giorni di vacanza. Ho gia' tante idee e qualche contatto.

Ciao,

ENRICO






domenica 17 agosto 2008

Argentina, giorno x+3 (con x=23)

Premessa: questa foto e' stata scelta praticamente a caso. La macchina fotografica ha le pile scariche e c'era modo di scaricaricare solo una foto in meno di 2 secondi. Comunque siamo Diamiano ed io (un po' provati?) sull'Abra del Acay. Non c'era nessuno per farci la foto...


Hola!

Siamo a Cachi. Cio' significa che abbiamo "sconfitto" l'Abra del Acay, il passo "carrabile" (le virgolette sono d'obbligo) piu' alto del Sud America.

Come abbiamo imparato a nostre spese, fin dall'inizio di questo viaggio, non sono i numeri quelli che definiscono la difficolta', ne' la soddisfazione della tappa. Quindi le nostre sensazioni non sono state modificate dal cartello in cima al passo dice "solo" 4895m, mentre il nostro altimetro da' 4966m e Wikipedia dice 5061m.

Siamo partiti presto, compatibilmente con il fatto che il Sole sorge verso le 8:30 e che prima di questa ora la temperatura e' violentemente bajo zero. I primi 15 km di fondo sabbioso con saliscendi ci hanno permesso di valutare panoramicamente tutta la strada percorsa nell'ultima tappa. Pedalavamo sbirciando, a sinistra, verso nord, le Salinas Grandes, una lingua bianca all'orizzonte, a 60km di distanza, appena velata da nuvole di umidita' mosse leggemente dal vento. Paesaggio magico, che riassumeva ai nostri occhi l'essenza della puna, dell'altipiano. Sapevamo che era l'ultima immagine che ci sarebbe rimasta di questo posto, perche', oltre l'abra, saremmo scesi sotto i 3000m, ritornando a quote dove le distanze, gli spazi, la forza degli elementi hanno dimensioni concepibili anche dalla mente di persone che non sono nate sulla cordigliera.

Provero' a raccontarvi per immagini quello che abbiamo vissuto, sperando che vi godiate un po' anche voi la nostra soddisfazione e felicita'.

Appena lasciata la strada per Salta ed imboccata nuovamente la mitica Ruta 40, vediamo tre puntini all'orizzonte. Potrebbero essere a 10km oppure a 50km, ormai siamo consci di come l'ambiente annulli ogni prospettiva, togliendoci la capacita' di valutare le distanze.

"Sono moto?" "No, sono bici." "Saranno pastori che scendono a S. Antonio." "Ma uno sembra che abbia le borse." "No, sono troppo grosse." "Eppure..."

Dopo mezz'ora ci incontriamo con una famiglia giapponese. Mamma, papa' carico come un mulo con 4 borse enormi, figlioletta sui 12 anni, con mtb scarica e bandierina argentina al vento. Parlano a stento qualche parola di inglese e di spagnolo. Abbastanza per raccontarci che sono partiti 6 mesi fa da Ushuaia, ed hanno appena passato la notte in tenda, dopo essere scesi dal passo. Siamo contenti di aver trovato qualcuno in bici sulla nostra strada (e' solo la seconda volta che succede!), ma anche increduli. La bambina, non deve studiare? E come gli e' venuta l'idea dal Giappone di venire qui? Ed infine: come hanno fatto?

La notte seguente ci risponderemo che si sono fatti portare in jeep sulla cima del passo e sono solo scesi in bici. Ma il dubbio che l'abbiano fatto davvero ci rimane...

Andiamo oltre.

Tratti di sabbia. Se son 2cm si va. Se son 5 si fa fatica. Ma quando sono 15 la ruota posteriore va giu'. Ed allora si spinge a piedi! Con il vento sempre contrario. Ragionavamo sul fatto che abbiamo fin'ora incontrato un paio di volte il vento a favore, ma almeno 10 tappe di vento contro. Abbiamo trovato vento da nord, da sud e da ovest. Sempre contro. Non ci siamo ancora diretti verso est, ma confido che quando lo faremo troveremo anche vento da est!

Tratti di ghiaccio. Suggestive le colate azzurre opalescenti incastonate nell'erba giallastra. Ghiaccio anche sulla strada: con attenzione ed equilibrio si passa anche questo.

Incredibile torvare muli neri che brucano a 4500m di quota: chi li ha portati fin qui? Forse per acostumbrarli all'altura? Qualche vigogna che sembra un po' tranquilla e curiosa di quelle che abbiamo trovato sull'altipiano.

Piu' si sale e piu' il vento e' forte e costante. Nel penultimo tornante ormai a 4800m abbiamo il vento in faccia. Non riusciamo a stimarne la velocita', ma ci impedisce di pedalare. Si spinge a piedi, un respiro per ogni passo. Ultimo tornate, vento a favore. E cosi' possiamo arrivare al passo dignitosamente in sella!

E questa volta non c'e' nessuno che applaude o ci fa fotografie. Solo Damiano, io, le bici, l'immagine della Madonna (non perche'' avevamo le visioni, c'era una santella...) e tutta la puna dietro di noi.

Siamo fisicamente stanchi, e, dopo quasi 7 ore di bici, consci che non abbiamo piu' tempo. Al massimo un'ora di Sole, quindi 90 minuti prima del buio totale. E dobbiamo scendere di almeno 1000m per non gelarci le chiappe questa notte in tenda.

Quindi ci vestiamo con quasi tutto quello che abbiamo e ci gettiamo letteralmente nella discesa sul versante sud (che qui e' quello all'ombra). Il termometro dice: +15ºC sul versante N, +3ºC sul versante sud, vento forte e discesa. Fa freddo.

La discesa e' bellissima, in una valle che e' quasi una gola, la strada in mille volute, che gira su se stessa, in mezzo a rocce multicolore. Una vegetazione diversa dall'altro versante, sembra piu' aspra, ma piu' verde. Frane, fondo pessimo, sassi che si muovono. Poca luce, e tutta alle spalle. Impossibile valutare gli ostacoli. Se buchiamo adesso... meglio non pensarci... Lama che brucano: come mai il loro vello qui e' evidentemente piu' spesso che nell'altopiano? Di nuovo: meglio non pensarci...

A 4100m un casotto di pastori. Al solito, mattoni di fango, tetto di paglia. Dai che piantiamo la tenda qui. Un cane abbaia e ringhia, ma non c'e' nessuno. Guardiamo il cane negli occhi e lui capisce: "caiiii... caiiiii..." Entriamo nella capanna.

Zampe di lama e carne secca appesi ad un filo. Odore dolciastro di sangue. Mucchi di velli di lama tosati. Pentole affumicate dal fuoco. Stoviglie varie. Poco spazio, appena per due sacchi a pelo.

"Che si fa?" "Scendiamo ancora un po', va!"

Scendiamo fino alla prossima capanna, 3900m. Ormai fa buio. Ancora piu' piccola della precedente, ma senza pezzi di animali appesi sulla testa. Montiamo la tenda in qualche modo dentro alla capanna, ci buttiamo tutto cio' che abbiamo e ci infiliamo nei sacchi a pelo, cosi' come siamo. Ci sveglieremo solo nel cuore della notte per farci un te, non mangiamo da stamattina, ma la stenchezza (ed i vari problemi gastro-intestinali che ci tormentano entrambi da tutto il giorno) hanno la meglio.

La notte sara' decisamente e sorprendentemente calda, mi togliero' perfino la giacca a vento ed i guanti!

Al mattino altro te, con un mucchio di biscotti: sembra che gli stomaci vadano meglio e la fame aumenta! Difficile rimettere ordine nel caos che abbiamo creato ieri, ma in poco piu' di un'ora siamo di nuovo pronti. Partiamo, sempre in discesa, ed attraversiamo due guadi profondi passandoci le bici l'un con l'altro su sassi affioranti. Se avessimo dovuto farlo ieri notte... di nuovo: meglio non pensarci!

La valle e' sempre fantastica. Pensiamo di doverci pedalare per meno di 60km in discesa, e ne siamo entusiasti. Scopriremo troppo tardi che i km sono 84 e non sono esattamente tutti in discesa!

La valle cambia, con il diminuire della quota. La vegetazione diventa piu' verde. La valle si allarga. Si vedono salici in corrsipondenza di pueblitos di pastori. Scenari idilliaci, questa valle ci sembra il paradiso terrestre, e non e' solo il contrasto con le terre aride da cui veniamo. Ispira una pace primitiva e senza tempo. E, finalmente, e' un posto dolce. Dove poter dormire anche sotto un albero (anche se forse fa ancora un po' freddino...). Un fiume trasparente ci fara' compagnia per tutto il giorno, passeremo nei sui canyon, attraverseremo i suoi ponti e ci bagneremo nella sua acqua. Ci fermiamo a mangiare in un piccolo santuario scavato nella roccia rossa. Non abbiamo ancora incontrato anima viva. Il vento e' a favore. Tutto va bene.

Ci sembra di essere sul set dei migliori film wester. Stesse rocce rosse, stesse scanalature orizzontali, stesse schiere di cactus a candelabro.

Buco una gomma in corrispondenza di una piccola scuola, che e' chiusa per vacanze invernali. Una signora (forse una maestra?) e qualche bambino, curiosi, mi indicano dove riempire la borraccia e con calma faccio la mia riparazione (e' la 7ª volta). Damiano prosegue.

La Poma appare come un miraggio: paesino di case bianche con piante verdi (ora le guardiamo come all'inizio del viaggio guardavamo i catus!).

Inseguo Damiano, volo. Dietro una curva lo vedo, sul rettilineo davanti a me. Possibile che abbia gia' colmato la distanza? Impieghero' quasi un'altra ora ad affaincarlo. Nuovamente: qui le distanze non sono concepibili. Quel rettilineo si dimostrera' lungo quasi 15km.

Superiamo Payogasta e ci sembra di essere in Franciacorta. Strada del vino, fattorie ben tenute, fatte di fango, ma con colonnati (!!!). Rampicanti che decorano l'ingresso delle case. La presenza stessa di abbellimenti e' un elemento nuovo: evidentemente qui la vita e' piu' dolce, tale da permettere alle persone anche di pensare alla bellezza. Aiuole con erba vere, regolarmente annaffiate. Il verde. Ci colpisce come vedere una macchia blu in un bosco dalle nostre parti.

Pappagalli verdi, a sotrmi, chiocciando, si alzano in volo al nostro passaggio. Il sole al tramonto.

Damiano buca. 8ª volta. Mancano solo 3 km. Uffa. Era una spina lunga 2mm e larga come un capello. Ma tanto basta. Riparata la gomma facciamo il nostro ingresso a Cachi.

La citta' ci colpisce. Mettetevi i nostri occhi, adusi a villaggi polverosi, con case di fango e diroccate... qui vialetti acciottolati, con alti alberi, le aiuole verdi, le facciate bianchissime... un altro mondo!

E di notte? Illuminazione con lampade alogene, luce gialla avvolgente. Ci sembra perfino abbagliante, rispetto al buio pesto degli abitati sulla puna. Che bello!

Dormiamo in una locanda con le camere che si affacciano su un patio, dove campeggia un'enorme vite. Porticato verniciato di rosso con colonne bianche, pavimento di cotto. Ed e' il posto piu' economico, secondo la guida. Ma chissenefrega se non c'e' il bagno in camera: noi siamo felici se non ci si rischia di spinare le chiappe con il cactus quando ci si alza di notte!

Da oggi siamo tornati in un mondo piu' vicino a quello da cui siamo partiti. Stiamo ancora metabolizzando tutto quello che abbiamo passato, ma abbiamo l'impressione che avremo tanto da raccontarvi, quando torneremo.

A presto,

ENRICO



giovedì 14 agosto 2008

Argentina giorno x


Un saluto a tutti voi fruitori del Piero Po blog

Pare che la Puna argentina non voglia lasciarci andare utilizzando vili espedienti come tosse e sintomi influenzali per quel che mi riguarda o virulenti attacchi intestinali per Enrico.
Comunque sia domani dovremmo affrontare il passo che ci fara' scendere definitivamente dall'altipiano. E' un momento simbolico del viaggio, un'occasione per pensare a quello che abbiamo fatto fino ad ora....

Il senso dell'avventura, lo stupore per i paesaggi e la dimensione onirica in cui pesso si svcivola dopo ore di pedalate nel deserto sono stati le componenti principali del viaggio. Cio' che rimane in una dimensione poco definita e' il "carattere" di questo popolo di frontiera.

Penso ai messicani che rivendicano e glorificano le loro origini ad ogni occasione, o ai boliviani che in pochi giorni mi hanno dato una sensazione, anche solo di diversita' nei miei confronti, molto netta: non trovo un qualcosa di simile nelle persone che ho conosciuto qui.

Ho capito che stavo sbagliando strada quando Enrico mi ha letto una frase di un certo Hudson:

"Chi percorre il deserto scopre in se stesso una calma primitiva (nota anche al piu' ingenuo dei selvaggi), che e' forse la stessa cosa della pace di Dio."

Penso che mi sarebbe necessario percorrere almeno altri dieci deserti consecutivi prima di raggiungere qulcosa di simile ma, le espressioni, i movimenti e il modo di parlare degli indios comunicano qualcosa di molto simile ad una "calma primitiva".

Cosi' ti capita di incontrare un uomo che, nel bel mezzo di un lago salato, con un riverbero accecante e un vento incredibile, spacca a colpi di ascia il sale con un'espressione rilassata e beata.
Oppure fori la gomma nel bel mezzo del nulla nel bel mezzo del quale ci sta una casetta di fango di un contadino che coltiva una terra infruttuosa e piena di sale. Ti fermi, lui ti da una mano a riparare la bici e vedi come il tuo essere stizzito per una gomma diventa ridicolo di fronte alla sua disarmante leggerezza.
Da quando sono qui non ho sentito un urlo, una voce alta o innervosita.

Forse un carattere distintivo forte questo popolo lo possiede ed e' la straordinaria somiglianza con la terra di cui e' discreto ospite e mi piace pensare che mentre mi stupivo per la bellezza in cui ero immerso mi stupivo anche dalla sua gente.

DAMIANO

P.S. Mi sento di escludere da questa romntica caratterizzazione i ragazzini che, mentre scrivo, stanno giocando in rete ad un gioco di guerra e fanno un discreto casino.

mercoledì 13 agosto 2008

Argentina, giorno 21 - FOTO

Isla del Pescado, nel Salar de Uyuni. E il posto piu' suggestivo che abbiamo visita fin'ora (credo di averne parlato, giusto?)



Suora che acquista carne in una bancarella che espone un calendario di modella in costume, mentre la macellaia con una sega a bindella taglia le costine. Notare la carne ovunque (anche per terra).

Fiesta nazionale in Bolivia, a Tupiza: da noi quando si celebra? Il 2 giugno? Non mi sembra di aver visto niente del genere, peccato!

Frontiera tra Bolivia ed Argentina: qui passa di tutto (non potete immaginare i sacchi e le borse di ogni forma e dimensione!), ma tutto e' sottoposto a controllo. Risultato code intemrinabili. Pazienza.

Ecco come sconfiggiamo in tenda il freddo della puna: e' valido, vero?


Ahhhhhhhhhhhhhh non riesco a caricare altre fotografie. Peccato, ce n'erano un paio carine. Le mostrero' di persona, ok?

Vado cena che ho una fame sconfinata, come le vallate delle Ande!

Ciao,

ENRICO

Argentina, giorno 21

Che fatica!

A causa di mancanza di cartine ed inclemenza del clima abbiamo passato una notte imprevista in tenda. A 3500m e questa volta senza alcun riparo, affacciati su Salinas Grandes. Comunque ci e' andata bene: niente vento e temperature piu' che sopportabili: stamattina c'erano ben 2C nella tenda, quando ci e' capitato di svegliarci ampiamente sotto zero...

Sono stati 3 giorni fantastici soprattutto dal punto di vista naturalistico e paesaggistico. Abbiamo pedalato per 25km su un'immensa distesa di sale, che sembrava diventare sempre piu' grande man mano ci addentravamo. Abbiamo visto paesini di tre case, ma con chiese ben tenute. Abbiamo visto animali, soprattutto uccelli, ed ora siamo curiosi di dar loro un nome. Abbiamo visto la vegetazione cambiare. Abbiamo anche incontrato qualche turista e racolto le soliti frasi di sorpresa ed incoraggiamento, che fanno sempre piacere.

Ora siamo a San Antonio de Los Cobres. La notte imprevista in tenda ci ha un po' provato: oggi non avevamo viveri, e condividevamo 400ml di acqua in due. Niente di grave: si stringono i denti, ed in caso di necessita' si ferma qualche (raro) camionista... Inoltre siamo un po' stanchi soprattuto per il vento (non potete immaginare cosa vuol dire pedalare a 8km/h su una superficie perfettamente piatta, soprattutto per il morale). Infine la prossima tappa e' l'Abra del Acay, punto piu' alto del nostro percorso (nonche' passo piu' alto dela Ande) a 5061m. Tutto questo per dire che ci prendiamo un altro (e' il secondo...) giorno di riposo. Recuperiamo viveri ed acqua in quantita' perche' poi abbiamo ancora una sessione di qualche giorno "unplugged".

Pubblico nel prossimo post qualche foto con commenti, qui invece vorrei dare qualche notizia di carattere ciclistico, per chi volesse fare un viaggio simile al nostro, ed anche per annotarmi osservazioni che potrebbero tornarmi utili in futuro. Per gli altri, saltate pure tutto e passate alle foto.

Proteggete tutto cio' che potete sulla bici. Non c'e' niente che non sia esposto a botte, graffi e distorsioni. La mia bici ha subito un brutto trauma alla forcella, nonche' varie (e profonde...) incisioni sul telaio di alluminio, mi manca un raggio alla ruota posteriore, ho stortato il telaietto in acciaio del borsello al manubrio ed (oggi) ho rotto l'aggancio di una delle borse che sembravano indistruttibili. La bici di Damiano se l'e' vista anche peggio ed ha una profonda botta sul telaio, piu' varie fresature su componenti in alluminio (forcella e pinze dei freni). Il problema piu' grosso sono i trasferimenti (in autobus o aereo), ma anche nell'uso normale le cadute avvengono molto frequentemente (per il vento, la sabbia o la stanchezza).

Utilizzare camere d'aria con valvola "regina" (cosi' non si perde il tappino), ma portarsi un adattatore per poterle gonfiare con l'ugello da auto e moto: e' molto piu' frequente trovare compressori con questi ugelli (se da' fastidio non poter sfruttare questa comodita'...). Portare copertoni fino al 2.10, perche' trovare camere d'aria per copertoni da 2.25 e' impossibile. Fin'ora abbiamo bucato 5 volte (e siamo fortunati!), ma spesso si trattava di forature "multiple": la ruota posteriore va a terra e la camera d'aria si rovina in piu' punti. Alcune "pizzicate" causa peso eccessivo sulla ruota posteriore, ma suprattutto punture di spine di cactus. Non c'e' struttura aramidica che tenga: utilizzare protezioni supplemetari fa risparmiare un sacco di tempo. Le pezze autovulcanizzanti (air dam, o Parktool) sono una manna, ma solo per le punture e non funzionano per niente al freddo (non vlcanizzano): purtroppo lo abbiamo scoperto a nostre spese!

Mettere piu' acqua possibile sul telaio (tre borracce, se possibile da 1,5 litri): ogni bottiglia di acqua nelle borse si muove e sbilancia in maniera pericolosa in dicesa, inoltre carica ancora di piu' la ruota posteriore.

Portare, oltre e grasso ed olio, anche un detergente per lo sporco grasso: prima di lubrificare e' necessario pulire catena, pignoni e guarnitura praticamente dopo ogni tappa su strade sabbiose, per prevenire usura e rotture al cambio. Il detergente qui non l'abbiamo trovato ed abbiamo utilizzato benzina, ma non va bene (ne' dal punto di vista ambientale, ne' da quello meccanico).

I freni a disco si sono rivelati allo stesso tempo fantastici in discesa con la bici carica e provvidenziali con i cerchi non piu' perfetamente dritti, ma una pena per la manutenzione, soprattutto quelli di Damiano con registrazione automatica: un minimo runout del disco e si pedala solo per vincere l'attrito delle pastiglie. Quindi, meglio freni a disco con registrazione manuale. Niente problemi all'impianto idraulico.

Bloccare la sella in maniera permanente: ogni due ore sul famoso serruccio spaccachiappe e' necessario alzare nuovamente la sella di 5mm. E non e' sufficiente stringere lo sgancio rapido, neppure usando la chiave esagonale. Un foro passante nel telaio e via...

domenica 10 agosto 2008

Argentina, giorno 18 - FOTO

Leggete prima il post precedente!



Riesco anche a commentare le foto, meglio.

Fervore religioso sulla cordigliera!


Fenicotteri vicino ad Abra Pampa.

Dopo 50km di serruccio sapccachiappe, finalmente arriviamo.

Tramonto sulla pianura antistante la Laguna de Pozuelos



Tramonto sulla pianura antistante la Laguna de Pozuelos

In tenda la sera. Temperatura esterna stimata -12C. Temperatura interna misurata 2C. Notare le frontali ed i piselli con la mortadella. Sorvolare sul fatto che i vestiti sono i medesimi che portiamo anche per pedalare, da ormai svariati giorni...

Vigongna! Foto scattata con tutto lo zoom ottico e digitale che abbiamo. Piu' vicino di cosi' non si puo' e tutte mostrano le chiappe perche' scappano.

Un lama. Loro sono piu' curiosi ed amichevoli. Distanza minima diciamo 50 metri.


E queste sono solo foto scattate negli ultimi 2 giorni (le altre le ho lasciate in camera, sorry...).

A presto,

ENRICO

Argentina, giorno 18

Hey!

Quanti commenti e mail! Mi spiace non riuscire a rispondere a tutti, ma vi assicuro che leggo tutto e che mi fa tutto molto piacere. E quante sorprese!

Non ricordo chi ha suggerito un eventuale variante del nostro viaggio con la Breva. Mmmm... considerando che gli ultimi 300km li abbiamo pedalati su quello che in un incontro con Mariano ed Agnese e' stato prosaicamente definito "serruccio spaccachiappe", la vedrei un po' impossibile. Ma, indovinate un po'? Stasera dorme nel nostro stesso albergo un olandese sui 35 anni che si e' fatto dall'Alaska ad Ushuaia con una Moto Guzzi V7 degli anni 70 circa. Ha impiegato 3 anni (se l'e' presa comoda!). E ora sta tornando indietro. Quando ha sentito che prendavamo la ruta 40 (che arriva ad Ushuaia, in 5500km) gli si sono illuminati gli occhi. Abbiamo dovuto spiegargli che ci fermiamo tra poco piu' di 800km...


E gia' vi vedo storcere il naso, soprattuto Simone: come albergo? Beh, sono 3 giorni che non ci laviamo. Le uniche cose calde che abbiamo mangiato ce le siamo cucinate noi (ed ora siamo anche a corto di gas...). Abbiamo dormito in letti sfondati, in tenda, in un ostello comunale che sarebbe stato inagibile e non volevano farci entrare, ma quando gli abbiamo spiegato che montavamo la tenda in strada, hanno ceduto.

Abbiamo sofferto un po' la fame (ma solo un po'!). E stasera finalmente ci concediamo una cena vera. Io sono entusiasta e non riesco a pensare a nient'altro. A proposito di milanesa nel commento di gattacapa: qui non e' questione di essere vegetariani o carnivori, ma di mangiare oppure no. Qui si mangia quel che c'e': tipo che al comidor ti dicono: "Stasera c'e' zuppa di pollo". Punto. E tu dici: "Bene! Ne avevo proprio voglia!". E sfido chiunque a cucinare una zuppa di legumi in tenda sul fornelletto a propano/butano! A proposito: qui non esistono i fagioli e non capiamo perche'.

Come avrete intuito dal paragrafo precedente il viaggio sta entrando nel vivo. Posti incantevoli, sempre piu' selvaggi. Abbiamo visto centinaia di vigogne (per Luigi: tu dici di accarezzarle, ma quelle che abbiamo visto noi non si lasciano neanche fotografare a meno di 200 metri: come si fa?). Abbiamo visto i fenicotteri (per me e' la prima volta!). Abbiamo visto uccelli di tutti i tipi, tantissimi rapaci che non riusciamo a distinguere, ma appena torno a Buenos Aires o a Mendoza mi chiudo un pomeriggio in biblioteca e mi faccio una cultura su flora e fauna andine. Abbiamo visto degli animali che sembrano le nostre marmotte, ma molto piu' piccole e timide. Il tramonto di ieri s' stato a dir poco emozionate, sulla laguna di Pozuelos. Abbiamo pedalato un altro passo a 4000m.

Questo pomeriggio siamo rientrati ad Abra Pampa (ma non per la ruta 9 che abbiamo seguito muovendoci verso nord, bensi' per una provinciale sterrata) per far rifornimento di cibo, acqua e grasso sottocutaneo.

Questo post e' un po' confuso, ma sono di nuovo nel garage maleodorante di Abra Pampa (stasera sa fortemente di gasolio...) con musica a palla e questo mi fa confondere i pensieri. Inoltre il pensiero della cena imminente mi emoziona...

Di seguito provo ad inviarvi qualche foto. Speriamo di riuscirci! Purtroppo ho dovuto selvaggiamente ridurre la risoluzione (con Paint...) per riuscire a spedirle.
Non riesco a commentarle, prendetele come sono!
Ciao,
ENRICO
PS: chi dice che Damiano non scirve? Damiano scrive, scrive, ma non sul blog! E l'unica volta che ci ha provato e' collassata l'intera dorsale telematica andina, e cosi' il suo primo ed unico post e' andato perso...

mercoledì 6 agosto 2008

Argentina, giorno 14

Pensavate fossimo stati rapiti dai guerriglieri boliviani, eh? Invece no: siamo ancora vivi e vegeti, e liberi di scorrazzare sul piattisimo deserto di sale di Uyuni.

Troppe cose si sono accumulate nei 4 giorni scorsi, dal punto di ciclistico, turistico e di curiosita´ social-etnografica per potervele raccontare. Quindi mi limito ad aggiornarvi sulle vicende di oggi o poco piu´.

Anzitutto: abbiamo nuovamente una macchina fotografica (anzi due). Comunque sia temo che non sara´ possibile pubblicare foto finche´ rimaniamo sulla cordigliera, che significa fino al 20 di Agosto, almeno. D'altronde sono gia' abbastanza sorpreso che sia possibile connettersi ad Internet da quasi qualunque posto da cui siamo passati, nonostante manchi l'acqua (non solo quella potabile) e non ci sia il riscaldamento.

Siamo ad Uyuni, ex cittadina mineraria, ex cittadina ferroviaria, attualmente citta' turistica, tutta costruita attorno al businness dei tour al deserto di sale. Per le spiegazioni su cosa sia rimando alla voce di wikipedia:

http://it.wikipedia.org/wiki/Salar_de_Uyuni

Siamo arrivati qui con un viaggio travagliato, ma suggestivo, di circa 6 ore in autobus. Ci siamo sistemati nel primo ostello che abbiamo trovato: ci sembrava carino e abbastanza ben organizzato (e costava 3 euro a notte a testa, essendo abbastanza caro). Solo che abbiamo scoperto la mattina dopo che le camere sono ricavate in un capannone, alzando tramezze di cartongesso. L'aspetto e' effettivamente piacevole, solo che nella notte la temperatura in camera e' scesa a 3ºC. Non sarebbe un problema, se uno se lo aspettasse. Quindi oggi abbiamo comprato due coperte, cuffia e calze di lana.

La colazione di stamattina e' comunque stata buona ed abbondante. Abbiamo fatto un giro per le strade della cittadina, che pero' non ha niente da dire. E' una distesa di cuadra, tutte uguali. Abbiamo visitato anche la stazione, visto che qui passa una delle ferrovie piu' alte del mondo. A causa di uno sciopero, pero', la ferrovia e' bloccata. Peccato perche' speravamo di evitare il viaggio in bus di ritorno, sostutuendolo con il treno.

Siamo poi partiti per un tour in jeep nel Salar. Si', questo va un po' contro all'etica del viaggio e a nessuno dei due va a genio di chiudersi in auto per un'intera giornata. Purtroppo pero' e' l'unica possibilita' di visitare questo posto fantastico, ed alla fine non ce ne pentiremo.

Il tour comincia con la visita al cimitero dei treni, dove hanno accumulato una quantita' sorprendente di locomotive che prestavano servizio sulla linea che unisce Uyuni al Cile, fondata nel 1845. Le locomotive sono state in parte smontate: mancano tutte le bielle ed i cilindri, e le caldaie sono state svuotate dai fasci tubieri, forse per recuperare dell'acciaio pregiato. Ok, questa e' una considerazione un po' da ingegneri. Le locomotive, esposte al vento ed alla grande concentrazione di sale si sono completamente corrose, prendendo forme strane, contorte. Aggiungendo la cornice bianca da un lato della distesa di sale, e delle montagne sull'altro lato, il posto diventa surreale, un set che secondo me a Simone piacerebbe un sacco: mostrero' le fotografie al ritorno e se serve un accompagnatore per portare qui qualche modella, io sono disponibile (Damiano no...).

Poi ci sono state un paio di tappe orientate allo spiumaggio del turista occidentale: sapevamo che non sarebbero mancate, quindi le abbiamo digertie con pazienza. Ci hanno portato in un villaggio dove vendevano artesanias che secondo noi erano made in China, anche perche' identiche a quelle che abbiamo visto al mercato di Uyuni ed a Tupiza... comunque abbiamo visto qualche minuto di una partita di calcio giocata sulla sabbia da due squadre locali. Poi siamo andati all'hotel di sale, che mi ha ricordato tantissimo l'hotel di ghiaccio, in Svezia. Belline le statue di sale (di lama, di sfinge, di cavatori di sale), ma la struttura parzialmente in costruzione era un po' fuori tono rispetto al bianco purissimo circostante.

Finlamente ci siamo diretti all'isla del pescado e questo si rivelera' il pezzo forte della giornata. Una collina di 50-60 metri che si alza sulla bianchissima distesa circostante. Sembra davvero un'isola ed, arrvandoci in fuoristrada, sembra di approdare in un porto. L'isola ospita tantissimi cactus, alti fino a 9 metri, e vecchi fino a 1200 anni. E' tenuta molto bene, assolutamente pulita e questo ci fa piacere, visto che nei paraggi di tutti i centri di interesse fin'ora abbiamo trovato grandi distese di borse di plastica e bottiglie. E' un po' triste, ma sapendo i problemi che hanno qui, e' anche difficile farne una colpa a qualcuno: se non hai l'acqua in casa, non ti preoccupi di dove finisce la busta di plastica che butti per terra...

Comunque la sensazione e' di essere sospesi tra le nuvole. Il bianco abbagliante che si estende per centinaia di chilometri lineari (o decine di migliaia di chilometri quadrati, se preferite...) ha la capacita' di mandarti in trance. I miraggi che fanno apparire all'orizzonte montagne sospese, i giochi di luce ed ombra generati dalle forme grottesche della roccia vulcanica dell'isola, il silenzio assoluto (anche il ronzio dei fuoristrada si perde in questa immensita'), ti portanto in un'altra dimensione. Ti vuotano la mente. Almeno a me hanno fatto questo effetto.

Il chofer ci prepara un pranzo con milanesa (sara' la 20esima da quando siamo qui, pero' buona) pasta scondita (che usiamo come pane) e verdura. Cosi' facciamo due chiacchere con i nostri compagni di tour: una coppia svedese che in meno di due mesi ha girato praticamente tutti gli stati del sudamerica, due ragazze irlandesi ed una ragazza inglese che e' in viaggio da quasi sette mesi, ed ora sta per rientrare in patria. Tutti arrivano in bus direttamente da La Paz, e ripartono oggi stesso. Capiamo che il nostro viaggio e' completamente diverso dai loro. La bicicletta ti permette di avere una conoscenza capillare del territorio e delle situazioni. A prima vista sembra che loro stiano collezionando belle casrtoline da posti esotici, ma senza averne la cornice. Al contrario qualcuno potrebbe pensare che noi ci stiamo concentrando un po' troppo sulla cornice, facendoci 6 ore di bicicletta per visitare una citta' in 1 ora. In realta' il bello del nostro viaggio e' proprio il tempo passato in sella, e ce ne siamo resi conto oggi, sentendo voglia di ricominciare a pedalare.

E, se avessimo avuto un po' piu' tempo... la traversata del salar in bicicletta sarebbe stata una bella impresa... ci rimane in mente per qualche viaggio futuro!

Rientrando dall'isla del pescado ci siamo fermati presso un Ojo del Salar, una spaccatura nella crosta di sale da dove sgorga acqua e gas (secondo la guida ossigeno, ma tutte le nostre conoscenze geomorfologiche non ci permettono di credergli: non sappiamo che gas sia).

Rientrando ad Uyuni, al tramonto, ci sembra un po' piu' bella di quel che e'. Salutiamo le nostre compagne di viaggio e facciamo un giro per la citta'.

Il mercato coperto e' un pugno allo stomaco. E lo dico avendo in mente i mercati cinesi, polacchi e malesiani. Animali squoiati ed accatastati per terra. Teste con gli occhi fuori dalle orbite che ti fissano, quarti appesi e coperti con stracci. Sono convinto che l'odore sia sopportabile solo grazie al freddo. La parte con le spezie ed la frutta e verdura e' invece piu' fruibile ai nostri occhi di cittadini occidentali, coloratissima e vagamente aromatica.

Ora siamo pronti per andare a cena, visto che ieri abbiamo ceduto al caldo di un fuocherello ed abbiamo cenato in un locale decisamente turistico, stasera cerchiamo un posto tipicamente boliviano, seguendo i locals.

Saluti a tutti,

ENRICO

sabato 2 agosto 2008

Argentina, giorno 10

Prefazione: scusate la brevita', gli eventuali errori di battitura e
le frasi sconclusionate, ma sono in un garage maleodorante con musica
argentina a palla. A me il posto piace anche perche' ci sono un sacco
di ragazzi locali, ma non concilia esattamente la concentrazione per
il racconto...

Ce l'abbiamo fatta!

Ieri abbiamo superato l'abra del Condor a 4000m con sole 3 ore e 40 di
salita pedalata! Ora che l'abbiamo fatto mi sento di dire che non era
niente di veramente duro. Ed, al tempo stesso, dopo l'esperienza di
oggi che andro' a raccontarvi brevemente, faccio le seguenti
riflessioni.

La fatica e' un mezzo per raggiungere soddisfazioni e conoscenza dei
propri limiti e dell'ambiente circostante. La bici in questo senso e'
un mezzo eccezinale che permette di "entrare" veramente nel paesaggio
e di trovare punti di incontro con le persone che vi abitano. Non so
quanti Hola! e Suerte! abbiamo detto negli ultimi giorni. Ed ogni
volta che mettiamo un piede a terra per riposare, bere, mangiare, c'e'
sempre qualcuno che vuole sapere da dove veniamo che ci facciamo qui,
ecc. E' fantastico! A parte i vari cenni di saluto e gli incitamenti
ricevuti durante la salita, ci siamo beccati anche due applausi: uno
di un autobus intero che ci ha passato in discesa, mentre salivamo, e
l'altro di un gruppo di argentini sulla cima del passo...

Visto il nostro stato, molti si sentono di offrici da mangaire, da
bere, consigli... cosi' anche sulla cima del passo abbiamo pasteggiato
con empanadas offerte dai turisti argentini dell'aplauso. Per fortuna!
Perche' non troveremo piu' niente da mangiare, e daremo fondo alla
risrva di dolci e barrette di cereali.

Il panorama dal passo e' fantastico, ma non molto diverso da quelli a
cui ormai ci stiamo abituando. La vera emozione sta nell'ambiente,
nelle dimensioni sconfinate (delle valli, delle montagne), nella
potenza degli elementi (Sole e vento!), nei colori incredibili delle
rocce, nel fascino delle piante spinose che riescono a crescere
ovunque (senz'acqua e con escursioni di 30C tra giorno e notte). E che
dire della coppia di condor che ci sorvola (leccandosi il becco...)
mentre saliamo? Sono veramente grossi ed hanno delle pinne remiganti
lunghissime.

E, mentre scendiamo, un branco (o gregge? attendo risposte...) di
vigogne ci affianca in corsa e ci attraversa la strada, saltando con
agilita' su un terreno sassoso e spinoso che per un uomo e' quasi
intransitabile. Un'emozione forte e nuova.

Putroppo buco una prima volta e ci tocca fermarci mezz'ora per
aggiustare la gomma. Nessun problema, solo che speravamo di arrivare
al km40 dove si trova del cibo per l'ora di pranzo (entro le 14),
invece arriviamo troppo tardi e ci mangiamo frutta secca e barrette.
Nel frattempo la strada diventa sempre piu' dura. Ebbene si, un
saliscendi con guadi e sterrato duro, ma sassoso, con le bici cariche
ed a 3500m e' molto piu' duro di una salita continua. E poi siamo un
po' stanchini... Gli ultimi chilometri prima della ruta 9 (asfaltata)
sono tutti mentali: testa bassa ed una pedalata dietro l'altra, senza
pensare a niente (o pensando a tutto?).

Arrivati al bivio scopriamo che Abra Pampa, nostra meta, e'
decisamente piu' lontana del previsto (sarebbero altri 62km). Questa
situazione si e' gia' verificata piu' volte: una delle cose piu'
difficili di questo viaggio e' la mancanza di informazioni precise su
quote, tipi di strada e distanze. Ed e' inutile chiedere ai locali:
non hanno idea delle altimetrie, e danno numeri a caso (Abra Pampa e'
risultata ad una quota compresa tra 4040 e 2700m...), le distanze sono
date in termini di ore di macchina o di autobus, ed anche qui, per la
bici non serve a niente (in auto si va ad 80km/h anche in salita, ma
in bici?). Le uniche informazioni, puntuali e preziosissime, ci
arrivano dall'Italia, dalla chiaccherata con Mariano ed Agnese. Ma
ogni modifica all'itinerario stabilito e' un salto nel buio. Questa
situazione ha due conseguenze:

1) bisogna avere sempre una scorta (di energie o di cibo ed acqua) per
affrontare strada o dislivello in piu;
2) e' tutto piu' avventuroso!

In questo caso avevamo (come sapete) scorta di acqua e cibo. Cosi
abbiamo piantato la tenda a 3500m, assistendo ad un tramonto
fantastico a 360 gradi sulla cordigliera. L'aria cristallina, neanche
una nuovola, il vento che si ferma... Uno spettacolo indimenticabile.
Nel giro di 30 minuti dopo il tramonto la temperatura passa da 25
gradi a 5, e nella notte scendera' a -5. Il fresco che sentiamo nella
tenda viene ampiamente compensato dalla spettacolare volta celeste
(australe!), e Damiano vede anche due stelle cadenti. Io neanche
una... peccato perche' avevo un paio di desideri da esprimere!

Ora sto definitivamente impazzendo per la musica argentina. Quindi vi
saluto e vi lascio con la curiosita' di come e' andato il viaggio di
oggi. Vi anticipo solo che e' stato piu' duro di ieri ed almeno
altrettanto suggestivo. Siamo ad Abra Pampa, ed il paese ci sembra
come un'eventuale avamposto umano sulla superficie della luna...

Ciao a tutti,

ENRICO

PS: domani si arriva al confine... forse... se Eolo vorra'...

PS2: la macchina fotografica e' andata persa. Ripeto. La macchina
fotografica non c'e' piu'. Non disperiamo, cerchiamo lucidamente
soluzioni.

martedì 29 luglio 2008

Argentina, giorno 8


...e cosi' ieri pomeriggio abbiamo varcato il tropico del capricorno... quindi, essendo ai tropici, ora bermuda, infradito e cocktail sdraiati su qualche spiaggia? Non credo proprio!

Non ho tempo di scrivere molto ma voglio avvertirvi di cio' che stiamo per fare. Siamo in un paesino a 52km dal Humauaca, che si chiama Iruya, raggiungibile solo con 40km di strada sterrata e passando da un valico a 4100m. Il paese e' a 2800m. L'atmosfera e' magica, abbiamo appena visto il tramonto da uno spuntone di roccia a picco sulle case. Tanti bambini per le strade acciotolate che giocano, muli come mezzo di locomozione. Casette con cortili scrostati, tetti di paglia e lamiera, qualche piantina stentata. Ricordate che qua e' inverno ed ora siamo intorno ai 10C, ma nella notte va sotto zero. Oggi siamo arrivati in autobus (che mezzo!), con le bici caricate sul tetto, con tutte le dita incrociate perche' non si piegassero i dischi, non si rompessero i deragliatori, non si strocessero raggi e cerchi... c'e' andata molto bene.

Domani, pero', torniamo con le nostre gambe: circa 1300m di dislivello per arrivare a 4100m (e manca il fiato, ve l'assicuro!). Coperta la salita ci rimangono ancora circa 20km di sterrato in discesa, che con 35kg di borse sono abbastanza impegnativi (abbiamo gia' rischiato qualche volo...). Poi avremo ancora 300m di dislivello su 15km per arrivare ad Abra Pampa a 3400m, dove dormiremo. Partiamo con 4,5l di acqua a testa (vento e Sole sono impietosi), e se qualcosa va storto (o se non ce la facciamo...) piantiamo la tenda per strada. Di notte a 3400m siamo a -7C, ma siamo preparati.

Commeto alla foto di apertura: nonostante l'apparente magrezza magiamo di gusto e con regolarita'... lo scrivo soprattutto per mamme, zie e parenti donne vari che potrebbero preoccuparsi.

Da notare la mia maglia arancione Grundfos Sumbersible Motors - NewMo Team...

Infine e' d'obbligo un grande ringraziamento a Mariano ed Agnese: senza i loro consigli puntuali e preziosi di certo non saremmo arrivati fin qui. Sono posti fantastici, ma decisamente difficili da visitare, soprattutto per due viaggiatori in bicicletta. Trovate il loro sito nell'elenco qui a fianco, si chiama Patagonia Biking: organizzano viaggi in Argentina (sia in Patagonia che qui, nel nord ovest) ed in Tibet/Mongolia,... chi avesse voglia di provare li contatti e dica che lo mandiamo noi! (Non e' necessario portarsi tutta la zavorra sulla bici: organizzano viaggi con furgone al seguito...)

Non so quando ci sentiremo ancora: trovare un posto con Internet diventa sempre piu' difficile, ed il cellulare ha smesso di funzionare appena usciti da Salta. Forse quando saremo a La Quiaca, tra due giorni, prima di valicare il confine con la Bolivia, chissa'...

Comunque abbiate pazienza e date un'occhiata al blog ogni tanto!

Un abbraccio a tutti,

ENRICO

PS per Sandra: abbiamo una scorta di Dulce de Lece che provvediamo ad alimentare con regolarita'!

PS per Susanna: pedaliamo, pedaliamo... e' impressionante pensare la strada che abbiamo ancora da fare! Ci aiuta la sensazione di liberta', di poter dormire quando abbiamo sonno e mangiare quando abbiamo fame... Allora l'anno prossimo vieni anche tu? Dobbiamo decidere dove!

PS per zia Zeta: qua pochi gatti, ma moooolto pelosi... faccio foto?

Argentina, giorno 6

Che fatica!

Questa sera non era prevista una connessone ad Internet. Siamo stati costretti da un problema meccanico ai freni a disco di Damiano a trovare informazioni su come ripararli e quindi colgo l'occasione per scrivere due righe.

Siamo a Tilcara, sempre lungo la Ruta 9, a 2600m di quota. Ieri notte abbiamo dormito a Purmamarca, un posto incredibile, in cui l'unica vegeatazione che si alzi a piu' di 50cm dal suolo e' costituita da cardones, o cactus, ma che ha una "quebrada" (falesia, dirupo) di pietre colorate dal rosso al blu, passando per tutti i colori che ci sono nel mezzo. Abbiamo fatto tante foto, ma non possono rendere l'idea. E' un posto incantato... e chiaramente anche abbastanza turistico in quanto facile da raggiungere anche in macchina. Tutti i turisti sono Argentini, e quindi la gente del posto non si aspetta che noi siamo italiani. Cos¡ i nastri tricolori che sventolano sulle nostre borse sono stati presi per una bandiera messicana!

Il paesino e' tutto raccolto intorno ad una piazza dove c'e' un mercato artigianale molto grazioso, con tanti bambini indio vivacissimi che giocano e vendono gelatinas e flan (gelatine e budini). Principalmente se li vendono tra di loro, ma talvolta anche ai turisti... Una bambina ci ha colpito per il modo con cui giocava con l'agnellino ed il capretto che aveva in cura: li caricava in spalla e lanciava qua e la senza problemi, e poi li allattava con un biberon, dividendo il pasto con loro... incredibilmente vivace ed un po' selvaggia!

Poiche', come dice giustamente Simone, non possiamo rammollirci troppo, abbiamo piantato la tenda in uno "campeggio", in realta' uno spiazzo polveroso ed abbastanza assolato, che ci era piaciuto perche' c'erano molti ragazzi. Scopriremo poi che i ragazzi non hanno esattamente i nostri ritmi e fanno fiesta fino alle 2 del mattio, mentre noi alle 8 dobbiamo alzarci. Pazienza.

Comunque nel pomeriggio siamo partiti per un'escursione sulla vicina cordigliera, a piedi, lungo un sentiero molto panoramico che ci ha permesso di assaporare tutta la bellezza della quebrada di Purmamarca fuori dalla confusione da una prospettiva decisamente privilegiata. Qui, sulla cima di una delle colline, a strapiombo sul paese, abbiamo conosciuto Ricardo, ingegnere alimentare di Buenos Aires, amante del trekking. Sembra che gli ingegneri si attirino tra di loro, oppure sono tutti un po' "fuori" e quindi si ritrovano nei medesimi posti strani ed improbabili. In ogni caso il tipo e' simpatico e parla l'italiano perche', ovviamente, ha parenti in Italia. Ci aiuta molto a migliorare la lingua parlare con lui, noi in castillano stentato, lui in italiani abbastanza buono.

Ceniamo insieme, in un ristorante molto carino, con un ragazzo ed una ragazza che suonano musica Argentina, che tutti conoscono, tranne noi. Passiamo una bella serata e rimaniamo d'accordo che ci spediremo foto e mail dei rispettivi viaggi, il nostro in bici, il suo a piedi. Assaggio acnhe la zuppa di pecora o caprea, che si chiama Locro.

Questa mattina ci siamo svegliati alle 8, abbiamo levato il campo ed abbiamo caricato le bici su un'auto, sembra una Renault Logan. Con alla guida un local abbiamo coperto il dislivello fino al passo del Ipam a 4170m. Qui abbiamo scaricato le bici e siamo scesi fino a Salinas Grandes, 3600. Non ci sono foto ne' descrizioni che possano rendere 'idea di questo deserto di sale in continuo rinnovamenteo che si estende per circa 50km in larghezza (est ovest) e piu' di 100 in lunghezza (nord sud). Oggi siamo solo in esplorazione e siamo un po' perplessi all'idea che dovremo attrversarlo in bici, con le nostre gambe...

Comunque lo scopo dell'esplorazione era cominciare ad acclimatarsi all'alta montagna, e quindi pedaliamo per un'oretta sopra i 3600m. Visitiamo una zona dova alcuni cavatori di sale fanno il loro lavoro e scopriamo come funziona questa industria. Poi riprendiamo la nostra auto e torniamo al passo dell'Ipam. Questa votla scendiamo in bici: 35km per 2100 metri di dislivello. Velocita massima 84km/h, e vi assicuro che fa abbastanza impressione! Ma quello che piu' colpisce e' il vento: nella discesa a tornanti eravamo spinti quando scendevamo verso l'imbocco della valle, mentre quando rientravamo avevamo il vento contrario, che ci frenava dai 70 km/h fino ai 20 ed a volte meno, costringendoci a pedalare con decisione. Abbiamo sentito la forza degli elementi in una giornata normale a queste quote.

Abbiamo pranzato nel solito ristorante che abbiamo provato anche ieri a pranzo economico, tipico e molto buono. Empanadas e milanesas per entrambi.

Ripartiamo alla volta di Tilcara, attraversando alcuni pesini tipici e che sembra in ristrutturazione, forse a causa dell'aumento dei flussi turistici degli ultimi anni. Ticlara la visiteramo domani, quindi ve la descrivero' nel prossimo post.

Hasta luego,

ENRICO

PS: anche questa volta niente foto... abbiate pazienza!

domenica 27 luglio 2008

Argentina, giorno 4

Rieccoci per un racconto un po' piu' succoso del precedente.
Siamo a Volcan, sulla cordigliera, a 2000m. Come previsto stiamo lentamente risalendo la "cortisa" per raggiungere Abra Pampa, a circa 4000m. Abbiamo gia' fatto una piccola variazione sull'itinerario previsto: ci siamo concessi un giorno in piu' per visitare Jujui e per riodinare un po' il bagaglio e le idee, quindi abbiamo diviso in 3 giorni anziche' 2 la distanza di quasi 200km ed il dislivello cumolato di circa 1400m da coprire per raggiungere Purmamarca. In realta' il grosso della fatica l'abbiamo fatta ieri (100km) ed oggi (1000m di dislivello), domani ci rimane solo una cavalcata di 15 km per entrare a Purmamarca.
Immaginatevi la situazione. Siamo in un paesino raccolto intorno al "terminal" degli "autobuses". Una manciata di case, rigorosamente ordinate in una pianta a quadri come tutte le citta' argentine. Alcune casette carine, altre quasi in rovina. Tutte basse, ad un piano, e fuori da ognuna un "perro", che piu' che far la guardia, sta li' come elemento del paesaggio... Le strade sono tutte in terra battuta, le case di mattoni, di pietra, di cemento, di ogni colore possibile, sgarrupate ed appena dipinte. Tante ragazzine e ragazzini indios in giro. La differenza tra la popolazione di Salta e quella di queste zone e' evidente. Pelle scura, occhi grandi e neri, capelli lisci, corporatura snella, ma "compatta". Alcuni anziani, pochi uomini e donne.
Chiediamo in giro dove possiamo trovare un "quarto" e, tramite una rocambolesca srie di contatti, veniamo indirizzati alla sorella di uno che dovrebbe avere una stanza da darci. E cosi' e', la stanza e' pure carina ed ha perfino la doccia con l'acqua calda, ma per un attimo siamo stati pronti a montar la tenda ed accendere il fornelletto da campeggio...
Ora abbiamo anche cenato con due "milanesas" a testa, e siamo in un piccolo locale con tre pc che avranno dieci anni ed una connessione dial up condivisa. Per chi non sa cos'e' vi basti sapere che e' improponibile anche provare ad aggiungere foto a questo post, e che lo sto scrivendo via mail perche' non riesco ad aprire la pagina. Indosso il guscio antivento. Ci saranno circa 15 gradi dentro. Fuori saremo sugli 8.
E' un bel modo di viaggiare. Stiamo un po' alla volta entrando nello spirito giusto, dimenticando le convenzioni le incombenze della vita in Europa, per addentrarci in questo mondo nuovo e cos¡ diverso. Sentiamo che stiamo fisicamente entrando nel paesaggio e che, un po' alla volta, anche il castigliano diventa piu' facile da capire. I discorsi diventano piu' comprensibili e non perche' la nostra capacita' linguistica migliori (purtroppo...), ma perche' capiamo di cosa parla la gente di qui, quali sono i consigli che sente di darci e cosa vuole sapere dell'Italia.
Rapido resoconto della giornata. Questa mattina sveglia alle 8 a S. Salvador de Jujui in una bella pensione, con tante camere affacciate su un cortile interno coperto (cos¡ anche le bici hanno passato una notte sicura!). Colazione con mate (finalmente!) e pane burro e marmellata. Non particolarmente abbondante, ma sopperiremo. Preparazione dei bagagli (stiamo ancora cercando l'assetto migliore) e visita alla citta' con le bici scariche. Lungo il fiume incontriamo una chiassosa e coloratissima processione di ragazzi boliviani che cantando e ballando festeggiano un qualche santo, forse San Santiago. Passando da un negozio di biciclette cogliamo l'occasione per farci gonfiare un po' le gomme (con 35kg di zavorra sembrano sempre sgonfie, anche a 4,5bar...), e cos¡ facciamo consocenza con Mario, ciclista e meccanico di biciclette, che ci dispensa consigli sul percorso (portare 5 litri d'acqua a testa al giorno, sull'atipiano...) e ci mostra qualche foto di altri viaggiatori che son passati da l¡. Facciamo una foto con lui e rimaniamo d'accordo che gliela spediremo dall'Italia, cos¡ puo' appenderla in negozio.
Poi ci dirigiamo in piazza Belgrano, dove c'e' l'arrivo di una gara podistica, con tanti ragazzi e ragazze (forse piu' ragazze). Visitiamo l'Iglesia Catedral: ha il soffitto di legno, completamente affrescato, e tanti ex voto appesi alle pareti. E' graziosa. Uscendo passiamo attraverso un mercatino in miniatura. Nel senso che, pagando con soldi in miniatura (ottenuti cambiando soldi veri) si comprano minitore, miniquadri, minisoprammobili vari.
Attraversiamo il vero mercato di Jujui, con tante bancarelle di oggetti di artigianato. Chiaramente tantissima lana (di lama, vigogne, alpaca), tanto cuoio, legno. Ed anche un po' di dolci tipici che non ci lasciamo scappare (forse anche perche' la ragazza india che li vende e' carina e simpatica?). Ci mangiamo un panino in piazza ed adiamo a visitare il museo archeologico di alta montagna, dove, grazie alla grande disponibilita' della guardiana che ci fa da guida, scopriamo tante cose che ingoravamo sulla cultura di questi posti. Una su tutte: qui ogni valle vanta una propria preistoria originale, perche' il territorio impervio ha limitato i contatti tra le popolazioni. Cos¡ ci sono almeno 4 differenti culture che si intrecciano e sull'atipiano. Vedendo la scarsita' delle risosrse naturali e la durezza dell'ambiente, e' sorprendente vedere come abbiano sviluppato cultura e religione ad un livello tanto raffinato, che tutt'ora si trovano nella popolazione cristiana e culturalmente occidentale, forti richiami alla radici indigene.
Finita la visita attraversiamo la periferia della citta' (e' sempre pericoloso ed abbastanza faticoso) per raggiungere la Ruta 9. E qui ci mettiamo nuovamente in viaggio. E' una sensazione indescrivibile: ogni giorno e' come se fosse il primo, e per le prime pedalate sono in estasi pensando che questa strada mi portera' fino in Bolivia, attraverso paesaggi straordinari ed esperienze uniche...
La prima tappa e' Yala, un paesino che non e' segnato su nessuna cartina. Lo conosciamo grazie a Mariano ed Agnese, che hanno esplorato questi posti in lungo ed in largo. Arriviamo nel mezzo della sagra di San Santiago, ed incontriamo tanti cavalieri in vestiti tipici. Posteggiamo le bici insieme ai cavalli senza neanche legarle e ci sediamo sotto il portico di una piccola vecchia stazione a mangiar panadillas. La stazione e' abbandonata dal 94, quando hanno chiuso la ferrovia (che peccato, attraversa luoghi fantastici), ma il ferroviere che ci lavorarva vive ancora li' ed ora si occupa di ceramica, insieme al fratello. La moglie ha organizzato il rinfresco per la fiera. I panadillas sono ottimi e leggeri, giusto quello che ci vuole per due ciclisti. Il litro di birra in due che dobbiamo berci assieme e' un po' meno consigliato, ma fa niente, ce lo godiamo tutto. Parliamo per mezz'ora buona con Emilio il ferroviere e facciamo anche un po' di foto (che gli spediremo), ci invitiamo a vicenda in Italia ed in Argentina e poi ripartiamo, col sorriso sulle labbra ed una serenita' nuova in testa.
E' incredibile come sia facile entrare in contatto con le persone qui. Basta lasciar fare alla curiosita' di conoscersi.
Cominciamo a salire. La strada e' sinuosa e panoramica, il sole e' forte e l'aria polverosa, e si fa fatica a togliersi gli occhiali. Avvisitamo i primi camelidi: son due lama uno bianco ed uno rosso che dividono il recinto con un cavallo. Non si lasciano avvicinare, ma e' una bella impressione vederli dal vivo per la prima volta. Ci fermiamo ogni tanto a bere e mangiare ed a fare foto.
Arriviamo verso le 18 a Volcan, di cui vi ho gia parlato all'inizio.
Ora il locutorio chiude, quindi vado a dormire anch'io. Vi lascio con un ringraziamento per tutti i messaggi (mail e commenti) ricevuti. Li ho letti tutti e mi hanno fatto tanto piacere, spero che anche a voi sia piaciuto questo post. Rimanete in attesa di fotografie: presto arriveranno e saranno fantastiche, ma mai come essere qui dal vivo! ;-)
Ciao a tutti,
ENRICO