sabato 6 aprile 2013

Mosaici frattali e l'arrivo delle rondini



Ci sono giorni in cui tutto sembra andare a posto. Come le tessere colorate di un mosaico, le mie idee, concretizzate in attività più o meno impegnative, sembrano comporsi in un quadro coerente e completo. Sono questi dei momenti speciali, in cui mi sento fiducioso delle mie capacità e delle scelte fatte, ma soprattutto, mi sento al posto giusto. Già, perché tra le tessere del mosaico alcune le metto io, ma molte sono già sul tavolo, lasciate da altre persone o sono semplicemente elementi fissi, confini e vincoli a cui devo adattarmi.

Questi momenti li raggiungo sporadicamente, spesso dopo un lungo lavoro di adattamento, spostando a fatica altre tessere, cercando incastri nuovi attorno agli elementi di vincolo e spesso rinunciando ad utilizzare alcuni dei miei elementi, magari proprio quelli dei miei colori preferiti.

Sono momenti di tranquillità e soddisfazione. La vita mi sembra semplice, il futuro sicuro. Sono fiducioso e sereno.

Purtroppo, però, tutto questo dura per pochi istanti, al più qualche giorno. Perché rimirando la mia opera, mi accorgo che gli elementi fissi si sono spostati, o che qualcuno mi ha portato via qualche tessera, o che alcuni elementi hanno cambiato colore. E, se guardo attentamente, questo succede perché ogni tessera è a sua volta composta da altri elementi più piccoli, infinitesimi, in un puzzle frattale di una complessità inafferrabile. Quindi mi trovo a dover continuare l'opera, con meno entusiasmo e più precisione, cesellando, rifinendo, per cercare di mantenere ordine nel quadro che continua a mutare. A volte penso di rinunciare, lasciando che tutto cambi senza il mio controllo, lasciando che l'immagine diventi indistinta o che assuma altre forme.

Questo però non è da me, in realtà non riesco mai ad abbandonare veramente la mia creazione, ed allo stesso tempo mi pesa molto. Ho la sensazione di lavorare a vuoto, di essere costretto dalla contingenza ad un'estenuante attività che non ha in sé alcun valore creativo, che non aggiunge niente al quadro. Ed in realtà per la maggior parte del tempo mi sento impotente, in balia di forze che non comprendo e che mi sovrastano. Reagisco a questa sensazione con l'iperattività, esplorando diverse strade allo stesso tempo, attivandomi in maniera convulsa e comunque poco produttiva. Continuando nella metafora, compongo tanti mosaici, contemporaneamente.

Con questi paragrafi tento di descrivere le mie riflessioni in questo strano periodo della mia vita. Ho tanti dubbi, tante domande a cui non trovo risposta, sono ansioso, insoddisfatto, ben al di là della mia innata irrequietezza. Prima ho scritto che la contingenza mi costringe in questa situazione, ma cos'è questa contingenza? Faccio fatica ad afferrarne completamente la natura, ma posso dire che, in generale, è la crisi, la mancanza di stabilità, il continuo cambiamento delle regole, la nascita continua di opportunità che poi si dimostrano effimere, l'impossibilità di fare proiezioni sul futuro.

Sono giovane, sono sveglio, so fare bene molte cose ed alcune anche con un elevato grado di specializzazione. Eppure non sono in grado di trovare una direzione certa da dare alla mia vita. Questo vale per la vita lavorativa, ma inevitabilmente anche per quella privata che trova nel lavoro le risorse per compiersi.

Cosa vorrà il mondo da me? Sono pronto a fare qualunque cosa, ma devo avvertire la sensazione che sia la cosa giusta. Non riesco ad accontentarmi di avere uno stipendio a fine mese, con un lavoro qualsiasi. Voglio che la mia energia sia indirizzata verso il bene comune, voglio che i miei progetti siano a vantaggio della collettività. Voglio lavorare per il futuro, ed in questo periodo di cambiamento voglio essere sicuro di muovermi nella direzione giusta, di essere tra gli artefici di quel nuovo che, in maniera confusa, si sta facendo largo nelle nostre vite. Eppure non riesco a trovare questa sicurezza, non riesco a leggere con la chiarezza necessaria questi momenti. Prendo cantonate, sbando, ed ogni volta mi rimetto in carreggiata, ma con sempre meno convinzione che la meta sia quella giusta, intendendo con ciò quella che il mondo vuole per me.

Ed in tutto questo riemerge la mia anima contemplativa, forse sopita da un po' di tempo. Mi capita spesso di fermarmi a guardare dettagli, paesaggi, persone. A volte non mi serve nemmeno fermarmi: camminando, guidando o stando seduto in qualche mezzo di trasporto scatto una foto mentale e poi ci penso. Osservo dettagli, elementi minuti ed invisibili ai più, in cui mi piace trovare una storia: possono essere strane pietre murate agli angoli delle strade, un corrimano levigato dal passaggio di infinite persone, particolari geometrie del selciato, un cancello sbilenco decorato in ferro battuto. Osservo paesaggi naturali, mutevoli ed immutabili allo stesso tempo, contemplo la città brulicante di attività sforzandomi di identificare i segni del tempo che passa: nuovi edifici, strade senza più traffico cantieri chiusi ed aperti. Nelle persone cerco di immaginarmi la vita dietro ai loro volti: come sarà la loro famiglia, la loro casa, il loro lavoro, a cosa staranno pensando in questo momento?

Forse dietro a questa mi tendenza alla contemplazione sta la necessità di avere percezione del tempo. Ho bisogno di vedere come il mondo sta cambiando per poter estrapolare la tendenza al cambiamento futuro. Credo che la motivazione sia proprio questa: nell'osservazione del mondo cerco i segni del tempo, nella speranza che questi segni mi indichino la strada da percorrere da ora in poi.

Però la mia ansia, la mia irrequietezza non può dipendere solo da cause esterne, quelle che ho provato ad analizzare fin qui. Vorrei trovare l'origine interna di questo malessere: perché non riesco a vivere serenamente questo momento di transizione, come mai non riesco ad adattarmi a questa particolare situazione? Molte persone credo che siano in grado di metabolizzare bene la mancanza di certezze: forse concentrandosi su ciò che di più solido hanno nella vita, magari la famiglia, il compagno, gli amici, e non si pongono domande difficili su quale destino il mondo ha in serbo per loro. Non vuol dire vivere alla giornata, ma vivere senza curarsi del fatto che la strada su cui viaggiano potrebbe non portare da nessuna parte.

Io non ci riesco. Mi piace cullarmi nell'ipotesi che quello che provo sia una forma di istinto di conservazione ereditato dai miei avi contadini e montanari: costretti a interpretare i segni della natura per non farsi mai sorprendere dalle difficoltà. Loro sapevano che dalla primavera all'autunno si dovevano accumulare scorte per superare l'inverno. Però loro conoscevano bene le stagioni e quindi potevano interpretare con facilità il mutare del tempo. Potevano capitare anche inondazioni, o periodi di siccità che portava carestia, ma anche questi fenomeni erano in realtà periodici, conosciuti, se non direttamente, attraverso la cultura tramandata dalle generazioni precedenti: nell'inondazione si sapeva che c'erano specifici territori che rimanevano all'asciutto, nella carestia c'erano prodotti dei boschi che, anche se non gradevoli, si potevano mangiare.

Se le cose stanno effettivamente così, questo istinto di conservazione oggi mi sta mettendo in guardia perché ciò che stiamo fronteggiando è una piaga completamente nuova. Non c'è traccia nel nostro DNA di nessuna indicazione su come affrontare questa situazione. Qui non si tratta di morire di fame o annegati, ma di un'egualmente pericolosa deriva di tutta la nostra società, forse del mondo intero.

Tutti questi ragionamenti credo mi abbiano chiarito l'origine e le motivazioni del mio malessere. Sono soddisfatto di questa analisi, credo di aver fatto qualche passo avanti. Però mi manca la sintesi: che indicazioni operative posso estrarre da tutto questo? Come liberarmi dall'ansia che fa da sottofondo a tutte le mie giornate?

Non ho una risposta. Però, più tardi, dedicherò qualche minuto ad osservare le rondini, che oggi sono tornate a solcare i nostri cieli. Penserò ai loro viaggi ed alla loro vita, qualche breve anno a cavallo di due continenti, tutta protesa alla prosecuzione della specie, nonostante i pesticidi, le reti, la distruzione dei loro nidi e dei loro habitat preferiti. Anche loro sono guidate dall'istinto di conservazione, ma senza la zavorra della razionalità. Cercherò risposte nelle loro traiettorie.