martedì 21 aprile 2009

San Francisco, giorno 2



Come potete vedere nella foto qua sopra, non stiamo perdendo tempo. Nonostante le evidenti Sansonite sotto gli occhi per entrambi, oggi abbiamo arrampicato parecchio, in palestra ovviamente. Anche se nella foto non sembra, giuro che era Fabio quello che tirava di piu'! Ora vi racconto.

Il viaggio di ieri e' passato liscio. Chiaro che quasi 15 ore tra aerei ed aereoporti si fanno sentire, pero' siamo stati abbastanza fortunati nel trovare compagni di viaggio curiosi con cui far due chiacchere. Sbarcati a San Francisco, un po' frastornati per il fuso, ci ha subito sorpresi il clima: si sfiorano i 30C, brezza calda e costante. Si sta benissimo, solo bisogna abituarsi al cambio di stagione improvviso.

Ci sistemiamo in ostello, grande, bello (forse il migliore in cui sono stato), un sacco di ragazze: penso che siamo gli unici maschi, e non sappiamo perche'. Comunque la struttura e' d'epoca, tenuta perfettamente, pulita, con una cucina fantastica (piani cottura ad induzione, banchi di lavoro in legno lamellare), sembra tutto nuovo.

Dormitina e perlustrazione dei dintorni. Cena da veri maricones sul Pier 1, tacos con carne per entrambi. Si ritorna verso Mason Street, dove sta l'ostello, prendendo la cable car, il tram a fune tipico di san Francisco: divertente stare sulla pedana bassa attaccati al palo mentra il tram si muove per le strade. Passiamo davanti ad una discoteca e rimaniamo entrambi sconvolti dagli avventori. Tutti ragazzi intorno ai 20 anni, in micro canottiere, che si abbracciano e si baciano in due, in tre o a gruppetti.

Ok, sapevamo che San Francisco era la capitale dell'omosessualita' americana e forse anche mondiale, pero' una scena cosi' non ce la aspettavamo, soprattutto per l'eta' dei protagonisti. In ogni caso niente di male, solo bisogna abituarsi all'idea.

Dormiamo di gusto. Fino alle 3:30, quando il nostro ippotalamo decide che e' ora di svegliarsi. Io riesco a convincere il mio a dormire fino alle 6:30. Fabio fa piu' fatica con il suo e non si riaddormentera' piu'.

Colazione abbondante (solo burro e marmellata: ci aspettavamo bacon e uova!) inclusa nel prezzo del letto, poi andiamo a noleggiare le bici, con cui abbiamo in programma di muoverci per i prossimi giorni. Attraversiamo downtown, Rushian Hill e Fishermann Wharf. I quartieri sono caratteristici, con le casette basse e colorate, le strade larghe e tutte in saliscendi. E che saliscendi: dopo aver scalato un paio di colline ora stiamo cercando di evitarle, girandoci intorno, perche' a fine giorna tante colline da 100m fanno migliaia di metri di dislivello, e si sentono.

Le bici sono delle performati city bike con forcella ammortizzata. Carichiamo sul portapacchi lo zaino con il materiale da climbing e subito rompiamo entrambe le corde elastiche. Ce lo terremo sulla schiena per il resto della giornata. Per raggiungere la palestra che abbiamo scelto dobbiamo attraversare la citta' da nord a sud. E' lunedi', ma non c'e' traffico. La gente e' tranquilla, si vedono molte persone che fanno jogging, che pattinano. Sembra che siano tutti in vacanza. Si capisce perche' negli States la California e' vista come un isola felice per villeggiatura e vita rilassata.

Raggiungiamo con qualche difficolta' la palestra. Siamo tenuti a dimostrare di essere in grado di fare nodi e di far sicura, superiamo l'esame a pieni voti. La palestra e' gigantesca, la piu' grande che abbia mai visto. Pareti di 10/12 metri, archi, strapiombi e placche, area bulder che sembra un labirinto. Centinaia di vie tracciate, di tutti i gradi. Cominciamo cauti dal 5.9 (non conosciamo i gradi americani), per poi salire al 5.10a, b, c, d ed infine 5.11a. E li' ci fermiamo. Almeno ora abbiamo scoperto qual'e' il nostro livello nelle palestre americane. Ci rimane il (grosso) dubbio di come gradano in ambiente.
Facciamo una pausa per mangiare un tacos nel truck di fronte alla palestra, qui parlo lo spagnolo con il "cuoco" che e' messicano: entrambi siamo in difficolta' con l'inglese. Poi ricominciamo con qualche via lunga, addominali e doccia.
Si va al mare passando dallo stadio del baseball, chiuso. Tutto pulito ed in ordine, non c'entra proprio niente con i nostri stadi. Si notano (anzi, io noto) due impianti fotovoltaici sulle tribune e su una pensilina in facciata. A due passi c'e' il porto con migliaia di barche a vela. Ci fermiamo a bere ad una fontana.
Arriviamo a REI, negozio di materiale da alpinismo. Compriamo friends, nut, moschettoni, ed altri accessori che in Italia costano molto di piu' che qui. Soddisfatti ce ne torniamo in ostello. Dormiamo un po' ed andiamo a fare la spesa in un negozo superbiologico. Il risultato e' che per farci una pasta con tonno e due filetti alla senape spendiamo 35 euro. Pero' buono. Ed e' divertente essere guardati con curiosita' da tutte le avventrici dell'ostello che si mangiano ciotole di cibo cinese (What is that? Mmm, smells good...).
Ora sono pronto per andare a dormire, spero per una notte intera. Fabio dorme gia': il suo ippotalamo forse oggi si e' sincronizzato col Sole. Prima pero' un paio di riflessioni.
1) per ora non possiamo confermare il luogo comune che vede gli americani grassi e oziosi. Qui ci sono un sacco di persone che fanno movimento in tutti i modi e di gente veramente grassa non se ne vede in giro.
2) non ci sono Hummer, se ne vedono molti di piu' per le strade di Brescia che di San Franisco. Ci sono tante auto ibride tipo Toyota Prius, ma anche molte altre che in Europa non esistono. Solo alcuni pick up ipertrofici.
3) domani si va al mare perche' sono decisamente stanco!
'notte,
ENRICO



sabato 18 aprile 2009

... e si va!



Tra 30 secondi uscirò per andare a prendere il treno. Mi sento leggero!

lunedì 6 aprile 2009

Senza titolo

Mi sono accorto che non ho più foto. Da troppo tempo ho smesso di fotografare, e così mi trovo senza materiale per illustrare i miei pensieri. E' un peccato, fotografare mi piace, e quindi cercherò di ricominciare. E poi è una scusa per andarmene a zonzo, di giorno o di notte, senza una meta, inseguendo motivi geometrici, luci, immagini, cercando la giusta prospettiva per rappresentare un pezzo di città. O di vita.

Il post di stasera l'ho coltivato. Ho trovato diversi spunti, li ho raccolti e tenuti da parte come i bambini fanno con i sassolini colorati in riva al mare, e mi sembrava che stessero proprio bene insieme, che potessi organizzare per i lettori (e per me) un bel viaggio, quasi onirico. Avrei parlato di primavera, di voglia di fare e di voglia di oziare. Avrei parlato di pioggia e di Sole, di freddo, di neve e di sabbia. Delle montagne e del mare. Invece oggi ho avuto una sorpresa. Di quelle vere. Di quelle che ti bloccano i pensieri.

Sono pieno di felicità, una sensazione grande ed intima. Così va bene. Così tutto ha un senso. Le nostre sofferenze, la disperazione, i mesi bui e freddi, ora hanno un perché: il punto di vista si allontana e tutto questo diventa solo un dettaglio di un quadro grande e colorato. Della vita che continua, impegnativa e sorprendente.

Non posso scrivere di più, non riuscirei ad avere la discrezione e la delicatezza di raccontare le mie sensazioni senza far intuire di cosa si tratta. E sto piangendo.

Ci sarò sempre.

mercoledì 1 aprile 2009

Il ferro

Questa foto è di Lu Wei, un'amica che vive a Pechino e con cui ho condiviso delle giornate pazze ed indimenticabili durante l'ultimo viaggio in Cina.


Il ferro è un materiale strano. E' una materia prima importantissima. E' la base di praticamente tutte le macchine che l'uomo ha concepito. Eppure, da solo, non serve proprio a niente. Si arrugginisce a contatto con l'aria, non è tenace, non è duro, non tiene il filo. Da solo è perfettamente inutile.

Ma basta aggiungerci un pizzico di carbonio, una percentuale piccolissima in peso, e si trasforma in acciaio. Ancora arrugginisce, ma ha proprietà meccaniche più interessanti. E se si aggiungono anche cromo, nichel, molibdeno, vanadio, rame, piombo,... si ottengono acciai dalle proprietà sorprendenti, che possono resistere a carichi elevatissimi, o ad attacchi chimici molto potenti. E la tecnologia siderurgica ancora sta evolvendo, generando continuamente nuove famiglie dalle caratteristiche sempre migliori.

Perché questo preambolo metallurgico? Perché ieri sono stato al museo del ferro, appunto. Era tanto tempo che desideravo andarci e, grazie alla segnalazione di una persona che mi conosce bene, ho potuto assistere all'inaugurazione del museo dopo il restauro, insieme al mio nonno.

Il vecchio edificio a San Bartolomeo è stato completamente ristrutturato, riportando in efficienza il maglio, la fucina alimentata dalle trome idroeoliche (sapete cosa sono?) e la ruota idraulica per la produzione di energia elettrica. All'inaugurazione erano presenti tante personalità più o meno note del jet set bresciano: professori, politici, religiosi, industriali. La mia impressione è che fossero veramente in pochi ad essere lì per il museo o per il ferro. Molti erano lì perché doveveano, o per farsi vedere, o per incontrare quelli che erano lì a farsi vedere. Io ero lì perché era un'occasione per allacciare un legame con il passato, con chi ha vissuto in queste zone prima di me, gettando, con il proprio ingegno, le basi di un'economia che poi ha trasformato Brescia in una delle realtà più fulgide della tecnologia industriale. E tutto questo senza alcuna sfumatura celebrativa o mitizzante: sono solo affascinato dall'ingegno umano, in tutte le sue forme, pur essendo ben conscio dei limiti che il modello di sviluppo impostato nei primi anni del '900 portava con se. Limiti con cui forse proprio in questi anni ci troviamo a fare i conti.

Il museo è bello ed interessante e consiglio a tutti una visita: richiede solo 15 minuti. Però non è questo ciò che mi preme raccontare. Quello che più mi ha colpito è stato mio nonno. In tanti hanno riconosciuto Pierino. Tantissimi. I camerieri del catering, i politici, gli industriali, i giornalisti ed i fotografi. E tutti avevano un saluto, due parole, una pacca sulla spalla per lui. Che con lo sguardo tranquillo e sereno di sempre, limpido, solo un po' smarrito, a volte riconosceva e raccontava un aneddoto di tanti anni fa, a volte non riconosceva o non ricordava e si limitava a sorridere.

Ho sempre saputo di avere avuto la fortuna di avere un nonno eccezionale, ma ogni volta mi sorprendo. Un persona umile, mite, ma determinata e sicura, con pochi ideali, ma tanto saldi. Molte delle persone al museo mi hanno detto che è sempre stato generoso, anche nelle difficoltà, anche quando non c'era niente per nessuno. E lo dicevano con una riconoscenza ed un'affetto che andavano oltre le parole, che stavano negli sguardi che avevano per lui. Eppure la sua eccezionalità non sta in quello che è stato o in quello che ha fatto. Chissà quanti uomini nati nel primo dopoguerra e che hanno vissuto la seconda ricostruzione, magari fancendo proprio i camerieri, come lui, hanno passato una vita analoga alla sua, con avventure più o meno simili. Quello che mi affascina e mi commuove è l'umanità con cui si è sempre posto di fronte all'altro, chiunque lui fosse. La sua innata dote di parlare al cuore delle persone, a volte anche senza parole. La capacità di stabilire immediatamente contatti profondi e sinceri, che vanno oltre qualunque opinione o modo di vivere e qualunque barriera sociale. Il fatto di lasciare un segno, quasi un messaggio, di toccare tutti quelli con cui aveva a che fare, a qualunque titolo, superando ogni preconcetto ed andando dritto all'essenza dell'uomo.

Anche lui, come me, come tutti, è fatto di ferro. Ma nella sua pasta ha messo anche tanti altri elementi nobili e nelle proporzioni giuste, e questo fa di lui una persona speciale. Spero proprio di aver ereditato alcune delle sue capacità. Sicuramente cercherò di averlo sempre in mente come modello e come ispirazione, per cercare di essere anch'io un po' speciale. Per non essere solo un uomo di ferro.

ENRICO