mercoledì 1 aprile 2009

Il ferro

Questa foto è di Lu Wei, un'amica che vive a Pechino e con cui ho condiviso delle giornate pazze ed indimenticabili durante l'ultimo viaggio in Cina.


Il ferro è un materiale strano. E' una materia prima importantissima. E' la base di praticamente tutte le macchine che l'uomo ha concepito. Eppure, da solo, non serve proprio a niente. Si arrugginisce a contatto con l'aria, non è tenace, non è duro, non tiene il filo. Da solo è perfettamente inutile.

Ma basta aggiungerci un pizzico di carbonio, una percentuale piccolissima in peso, e si trasforma in acciaio. Ancora arrugginisce, ma ha proprietà meccaniche più interessanti. E se si aggiungono anche cromo, nichel, molibdeno, vanadio, rame, piombo,... si ottengono acciai dalle proprietà sorprendenti, che possono resistere a carichi elevatissimi, o ad attacchi chimici molto potenti. E la tecnologia siderurgica ancora sta evolvendo, generando continuamente nuove famiglie dalle caratteristiche sempre migliori.

Perché questo preambolo metallurgico? Perché ieri sono stato al museo del ferro, appunto. Era tanto tempo che desideravo andarci e, grazie alla segnalazione di una persona che mi conosce bene, ho potuto assistere all'inaugurazione del museo dopo il restauro, insieme al mio nonno.

Il vecchio edificio a San Bartolomeo è stato completamente ristrutturato, riportando in efficienza il maglio, la fucina alimentata dalle trome idroeoliche (sapete cosa sono?) e la ruota idraulica per la produzione di energia elettrica. All'inaugurazione erano presenti tante personalità più o meno note del jet set bresciano: professori, politici, religiosi, industriali. La mia impressione è che fossero veramente in pochi ad essere lì per il museo o per il ferro. Molti erano lì perché doveveano, o per farsi vedere, o per incontrare quelli che erano lì a farsi vedere. Io ero lì perché era un'occasione per allacciare un legame con il passato, con chi ha vissuto in queste zone prima di me, gettando, con il proprio ingegno, le basi di un'economia che poi ha trasformato Brescia in una delle realtà più fulgide della tecnologia industriale. E tutto questo senza alcuna sfumatura celebrativa o mitizzante: sono solo affascinato dall'ingegno umano, in tutte le sue forme, pur essendo ben conscio dei limiti che il modello di sviluppo impostato nei primi anni del '900 portava con se. Limiti con cui forse proprio in questi anni ci troviamo a fare i conti.

Il museo è bello ed interessante e consiglio a tutti una visita: richiede solo 15 minuti. Però non è questo ciò che mi preme raccontare. Quello che più mi ha colpito è stato mio nonno. In tanti hanno riconosciuto Pierino. Tantissimi. I camerieri del catering, i politici, gli industriali, i giornalisti ed i fotografi. E tutti avevano un saluto, due parole, una pacca sulla spalla per lui. Che con lo sguardo tranquillo e sereno di sempre, limpido, solo un po' smarrito, a volte riconosceva e raccontava un aneddoto di tanti anni fa, a volte non riconosceva o non ricordava e si limitava a sorridere.

Ho sempre saputo di avere avuto la fortuna di avere un nonno eccezionale, ma ogni volta mi sorprendo. Un persona umile, mite, ma determinata e sicura, con pochi ideali, ma tanto saldi. Molte delle persone al museo mi hanno detto che è sempre stato generoso, anche nelle difficoltà, anche quando non c'era niente per nessuno. E lo dicevano con una riconoscenza ed un'affetto che andavano oltre le parole, che stavano negli sguardi che avevano per lui. Eppure la sua eccezionalità non sta in quello che è stato o in quello che ha fatto. Chissà quanti uomini nati nel primo dopoguerra e che hanno vissuto la seconda ricostruzione, magari fancendo proprio i camerieri, come lui, hanno passato una vita analoga alla sua, con avventure più o meno simili. Quello che mi affascina e mi commuove è l'umanità con cui si è sempre posto di fronte all'altro, chiunque lui fosse. La sua innata dote di parlare al cuore delle persone, a volte anche senza parole. La capacità di stabilire immediatamente contatti profondi e sinceri, che vanno oltre qualunque opinione o modo di vivere e qualunque barriera sociale. Il fatto di lasciare un segno, quasi un messaggio, di toccare tutti quelli con cui aveva a che fare, a qualunque titolo, superando ogni preconcetto ed andando dritto all'essenza dell'uomo.

Anche lui, come me, come tutti, è fatto di ferro. Ma nella sua pasta ha messo anche tanti altri elementi nobili e nelle proporzioni giuste, e questo fa di lui una persona speciale. Spero proprio di aver ereditato alcune delle sue capacità. Sicuramente cercherò di averlo sempre in mente come modello e come ispirazione, per cercare di essere anch'io un po' speciale. Per non essere solo un uomo di ferro.

ENRICO

1 commento:

Unknown ha detto...

Bravo Enrico, complimenti! apprezzo molto le tue considerazioni, sia quelle scientifiche che quelle umane.