mercoledì 13 agosto 2014

Sole

Finalmente ho qualche minuto per appuntarmi qualche ricordo di questi giorni, in estrema sintesi.

Il viaggio per Leh è stato molto più impegnativo del previsto: 15 ore praticamente ininterrotte di sterrato, con 3 passi oltre i 5000 metri e senza mai scendere sotto i 4000. Panorami sorprendenti, per certi versi simili come colori a quelli andini, ma con brillanti macchie verdi di vegetazione nei fondi valle. Durante il viaggio un accompagnatore indiano è svenuto, pare per la quota... I due piloti si sono dati il cambio accompagnandoci sani e salvi a destinazione, attraverso guadi, ponti franati e riparati al momento, problemi meccanici ai freni sistemati direttamente sulla pista, un po' di paura e tante fotografie "al volo". Visto pochi animali, la Leo si è comunque entusiasmata per le numerose marmotte himalayane, più grosse e chiare delle nostrane.

Arriviamo a Leh alle 19, in anticipo di mezzora nonostante gli imprevisti, d'altronde gli ultimi 100km la strada è migliorata, permettendo al pilota di turno di sprigionare tutta la potenza del bus, con conseguente cardiopalma dei passeggeri. Ma poi saranno stati davvero imprevisti?!

Comunque subito scopriamo il mal di montagna. Appena arrivati a Leh, quota 3500 mslm, sia io che Leo siamo presi da forte mal di testa. Cerchiamo rapidamente una guest house dove riposarci, scegliamo senza verificare con la guida, bisognosi solo di un letto qualunque. L'edificio si presenta bene , il vecchietto che ci accoglie pare disponibile e cosi prendiamo una stanza grande senza bagno. Scopriamo presto che oltre alle lenzuola usate (che qui è normale) nelle coperte ci sono anche parecchi insetti...

Divoreranno Leo che si gratterà per diversi giorni a venire, nonostante un unguento di un bislacco colore rosa che ci fornirà il farmacista locale.

Fortunatamente comunque la mattina dopo ci trova molto più in forma, fiato corto, nausea e raffreddore, ma niente mal di testa. Ci convinciamo subito che ci servono almeno un paio di giorni per l'acclimatamento, così cominciamo con molta cautela l'esplorazione della città. Per prima cosa cambiamo guest house con una consigliata dalla guida: camera con vista su tutta la città, bagno in camera e... Lenzuola pulite! Ci sembra di essere in un hotel di lusso, ma spendiamo meno della notte con insetti. Questa inesplicabile (ai nostri occhi) mancanza di legame tra prezzo e servizio rimarrà un mistero dell'India anche nei giorni successivi.

Quindi ci aggiriamo per la città con il piglio da turista guardingo acquisito a Dely, ma presto sono i locali stessi che che lo dicono: Leh is safe. Che vuol dire che se qualcuno ti rivolge la parola non è automatico che voglia fregarti e che se chiedi aiuto in linea di massima lo ricevi. Il paradiso!

La città è piccola (10000 abitanti) e vivace alla maniera indiana: traffico rumoroso, animali, tanta gente in giro che non si capisce ben cosa faccia, assembramenti di persone per ogni esigenza.

Al tempo stesso si percepisce un'ossatura sottostante, un'organizzazione, uno spirito che a Dely non ho sentito (forse perché Dely è semplicemente troppo perché io possa comprenderla?). Gironzoliamo per il centro occupandoci delle commissioni necessarie dopo due giorni di viaggio, familiarizzando con la forma della città.

Impariamo presto che il sole è spietato ed anche che, risolto il mal di montagna, il fiato rimane corto comunque!

Visitiamo il palazzo reale, il tempio associato ed il forte sovrastante la città. Infine decidiamo di noleggiare una moto: Royal Enfield 350, con cui ci dirigeremo a Pangong Tso, 150km di strade himalayane con un passo 5'300 m...


Polvere

Ieri sera siamo partiti da New Delhi alla volta dell'Himalaya. Son passate circa 27 ore, ma mi sembra almeno una settimana!

Il tempo trascorso in città è stato giusto sufficiente per cominciare ad abituarsi ai costumi locali ed al clima. Un giorno di più sarebbe stato troppo impegnativo e logorante, un giorno meno non ci avrebbe permesso di abituarci al clima né di sviluppare gli opportuni anticorpi verso la confusione e la "organicità" dell'organizzazione locale.

E poi gli ultimi monumenti visti sono stati interessanti: a me è piaciuto soprattutto il museo della lotta per l'indipendnza, avvincente, coinvolgente e mi ha permesso di capire un po' di più di questo popolo. Leo credo abbia apprezzato soprattutto i sorprendenti vicoli di Old Dely, dove ogni incrocio ed ogni angolo nascondono sorprese.

Il viaggio in autobus verso le montagne è cominciato molto bene, con una suggestiva visone dei sobborghi di Dely al tramonto, purtroppo poi è andato peggiorando con una cena pessima e molto costosa, ed una strada trafficata, a curve, a buche, che mi ha fatto partire alquanto...

Arrivati in mattinata a Manali mi sembrava di essere sbarcato sulla luna, mi muovendo come in una bolla, stordito e disorientato. La fama di Manali la dipinge come un posto turistico, diviso in due frazioni: Old Manali paradiso per gli amanti della Charas, solo bar e guest house, e Manali città, che pare un po' Darfo Boario, alberghetti e turisti soprattutto indiani. Per noi è solo una tappa forzata, cosi, scoprendo un autobus in partenza per Leh dopo una sola ora dal nostro arrivo abbiamo colto l'occasione al volo.

Il viaggio durerà due giorni ed ora siamo sistemati in un campo tende a circa 1/3 del viaggio: finora il percorso è stato suggestivo, abbiamo superato un passo ad oltre 4000 metri e stiamo sperimentando l'assenza di ossigeno. Per ora niente mal di montagna, speriamo bene!


domenica 3 agosto 2014

Sudore

La prima giornata a Delhi è stata sorprendente, nonostante fossi pronto a non sorprendermi di niente.

Caos colori odori rumori caldo: tutto quello che mi aspettavo. Solo che la compresenza di tutti gli ingredienti genera una situazione indescrivibile, a cui non ci si può preparare e che è differente da qualunque cosa abbia mai provato.

All'inizio, questa mattina, avevo voglia di mescolarmi alla gente, di farmi trascinare nel vortice, in quello che voleva essere un drastico tuffo nell'India che sarà la mia casa per il prossimo mese.

Ho rapidamente cambiato idea!

Sbagliare un incrocio può voler dire (in una delle ipotesi migliori) trovarsi in una discarica in fermentazione, "dare corda" alla persona sbagliata (cioè quasi tutti) può significare perdere un'infinità di tempo ed agitarsi per niente, calcolare male tempi e distanze porta rapidamente allo sfinimento per temperature ed insolazione, prendere la metropolitana è letteralmente un viaggio nel viaggio, interessante, ma molto impegnativo e dispendioso in termini di tempo. Tutte esperienze capitate oggi...

Quindi? Abbiamo trovato tranquillità nei posti frequentati da turisti (e sorvegliati da guardie), refrigerio nei bar in stile occidentale, informazioni da guardie e poliziotti, abbiamo evitato di parlare chi ci fermava per strada e, per finire, Leo ha comprato perfino un disinfettante per le mani.

Insomma abbiamo adottato nostro malgrado il comportamento tipico del turista occidentale...

A parziale nostra discolpa posso dire che:
1) ci abbiamo provato, davvero, ma lo sforzo è stato superiore alle nostre risorse;
2) il disinfettante serviva per i piedi: visto dove li abbiamo messi oggi credo che lo avrebbe voluto a disposizione quasi chiunque;
3) il viaggio è lungo: non abbiamo fretta!

Quindi da domani adottiamo un approccio un po' più graduale e sono convinto che quando torneremo qui a Delhi, tra 3 settimane, ci sentiremo molto più a nostro agio. Come se fossimo a casa nostra. Quasi.

Facebook

Sabato sera. Torno a casa dopo il cinema ed un kebab al risotrante pakindiano e prima di andare a letto do un'occhiatata a Facebook. Non so perché l'ho fatto, non è mia abitudine. Forse essere a casa da solo in questi giorni mi ha fatto sentire il bisogno rafforzare la sensazione di appratenza ad una comunità, per ricordarmi che anche se nel letto ci vado da solo, ci sono comunque tante persone a cui sono legato che vivono intorno a me, a portata di “click”.

Nel mio “Diario” trovo le solite piccole cose senza alcuna importanza, frasi fatte, aforismi, postati da amici più o meno conosciuti, animati da regressioni più o meno adolescienziali. C'è anche qualcosa di interessante, eventi a cui forse parteciperò (e lo dichiaro). Scorrendo i post mi imbatto in uno che attira la mia attenzione per il numero di commenti (qualche decina): riferendosi ad un grave fatto di cronaca che ha come protagonisti degli stranieri l'autore, che pur conoscendo non ho incluso tra i miei amici, inneggia in maniera brutale e bifolca alla pena di morte per tutti gli stranieri che osano far cose del genere sul territorio italiano. Li per li rimango infastidito dalla bieca manifestazione di ignoranza e piccolezza del personaggio in questione, ma, invece di passare oltre, vengo spitno da quel particolare gusto dell'orrido che a volte mi costringe a puntare la mia attenzione su dettagli macabri, e mi inoltro tra i commenti. Ne leggo alcuni e rimango sbigottito dal coro di approvazioni e sostegno ricevuti da altri. Nessuna voce fuori tema. Tutti compatti e determinati verso l'obiettivo: il ristabilimento di una forma di giustizia attraverso l'eliminazione fisica del malfattore (= straniero).

“Adesso rispondo anch'io”, mi dico. Ma mi rendo subito conto che è inutile: mi documenterei sull'episdio, sintetizzerei il mio pensiero in 10 parole e probabilmente nessuno dei coinvolti capirebbe davvero il mio punto. Sarei molto liquidato con un silenzio di disappunto o magari, il che sarebbe sarebbe meglio, da un coro di improperi. In ogni caso non servirebbe a far cambiare la loro opinione.

Così sono anato a dormire. Ma mentre ero nel letto non ho potuto fare a meno di pensare per qualche minuto attorno alla vicenda. Perché quel post, per me così sgradevole, è finito sul “mio” diario? Un errore di valutazione di qualche “robot” nell'analisi dei miei interessi? Chissà se si potrebbe configurare qualche forma di lesione dei miei diritti a carico di Facebook per avermi sottoposto un contenuto così contrario al mio modo di essere.

E poi: ho fatto bene a non scrivere niente? Chissà se altre persone si sono scoraggiate come me. E chissà cosa sarebbe successo se invece qualcuno avesse postato un'opinione contraria. Magari invece del previsto silenzio sarebbe nata una feroce discussione. Che con ogni probabilità sarebbe rapidamente degenerata nell'insulto puro.

La riflessione forse più importante: le persone che con orgoglio scrivono cose come quelle che ho letto cercano proprio il sostegno e l'approvazione di quelli che la pensano come loro. Il fatto di avere 10 persone che li sostengono li esalta e li illude di essere potavoci di opinioni diffuse, illuminati opinionisti e detentori della vera giustizia. Non vogliono rendersi conto che per ogni decina di persone che li sostiene ce n'è almeno un centinaio che li disprezza. Se se ne accorgessero, se per ogni post a tema ricevessero vagoni di insulti ed improperi (legittimi, così come è legittimo il loro post) sono sicuro che smetterebbero rapidamente di scrivere.

Da qui la mia conclusione. E' importante far capire a questi personaggi che ci sono persone (poche? Tante? Sicuramente molte più di “loro”) che la pensano diversamente. Non nel senso di una differenza di prospettive, ma proprio di una radicale divergenza nella visone del mondo. Devono altresì avere chiaro in mente che frasi come quelle che non so perché sono finite sul mio diario, costituiscono un vero e proprio insulto per alcune persone. Nel momento in cui le scrivono devono percepire che il giudizio di molti pesa sulle loro spalle, che facendo così attirano il disappunto, il biasimo, il ribrezzo di altri esseri umani. Devono sentirsi soli e meschini.

Il difficile sta nel condurre questa azione seza abbassarsi al loro livello. La comunicazione deve passare, forte e chiara, ma senza che traspaia nessuna pulsione, nessun basso istinto, nessun insulto. Perché anche se questi ci sono, la ragione deve rimanere comunque più forte e tenere il controllo di tutto. Bisognerebbe elaborare un “manifesto per il controllo dell'intolleranza sui social network”.