domenica 3 agosto 2014

Facebook

Sabato sera. Torno a casa dopo il cinema ed un kebab al risotrante pakindiano e prima di andare a letto do un'occhiatata a Facebook. Non so perché l'ho fatto, non è mia abitudine. Forse essere a casa da solo in questi giorni mi ha fatto sentire il bisogno rafforzare la sensazione di appratenza ad una comunità, per ricordarmi che anche se nel letto ci vado da solo, ci sono comunque tante persone a cui sono legato che vivono intorno a me, a portata di “click”.

Nel mio “Diario” trovo le solite piccole cose senza alcuna importanza, frasi fatte, aforismi, postati da amici più o meno conosciuti, animati da regressioni più o meno adolescienziali. C'è anche qualcosa di interessante, eventi a cui forse parteciperò (e lo dichiaro). Scorrendo i post mi imbatto in uno che attira la mia attenzione per il numero di commenti (qualche decina): riferendosi ad un grave fatto di cronaca che ha come protagonisti degli stranieri l'autore, che pur conoscendo non ho incluso tra i miei amici, inneggia in maniera brutale e bifolca alla pena di morte per tutti gli stranieri che osano far cose del genere sul territorio italiano. Li per li rimango infastidito dalla bieca manifestazione di ignoranza e piccolezza del personaggio in questione, ma, invece di passare oltre, vengo spitno da quel particolare gusto dell'orrido che a volte mi costringe a puntare la mia attenzione su dettagli macabri, e mi inoltro tra i commenti. Ne leggo alcuni e rimango sbigottito dal coro di approvazioni e sostegno ricevuti da altri. Nessuna voce fuori tema. Tutti compatti e determinati verso l'obiettivo: il ristabilimento di una forma di giustizia attraverso l'eliminazione fisica del malfattore (= straniero).

“Adesso rispondo anch'io”, mi dico. Ma mi rendo subito conto che è inutile: mi documenterei sull'episdio, sintetizzerei il mio pensiero in 10 parole e probabilmente nessuno dei coinvolti capirebbe davvero il mio punto. Sarei molto liquidato con un silenzio di disappunto o magari, il che sarebbe sarebbe meglio, da un coro di improperi. In ogni caso non servirebbe a far cambiare la loro opinione.

Così sono anato a dormire. Ma mentre ero nel letto non ho potuto fare a meno di pensare per qualche minuto attorno alla vicenda. Perché quel post, per me così sgradevole, è finito sul “mio” diario? Un errore di valutazione di qualche “robot” nell'analisi dei miei interessi? Chissà se si potrebbe configurare qualche forma di lesione dei miei diritti a carico di Facebook per avermi sottoposto un contenuto così contrario al mio modo di essere.

E poi: ho fatto bene a non scrivere niente? Chissà se altre persone si sono scoraggiate come me. E chissà cosa sarebbe successo se invece qualcuno avesse postato un'opinione contraria. Magari invece del previsto silenzio sarebbe nata una feroce discussione. Che con ogni probabilità sarebbe rapidamente degenerata nell'insulto puro.

La riflessione forse più importante: le persone che con orgoglio scrivono cose come quelle che ho letto cercano proprio il sostegno e l'approvazione di quelli che la pensano come loro. Il fatto di avere 10 persone che li sostengono li esalta e li illude di essere potavoci di opinioni diffuse, illuminati opinionisti e detentori della vera giustizia. Non vogliono rendersi conto che per ogni decina di persone che li sostiene ce n'è almeno un centinaio che li disprezza. Se se ne accorgessero, se per ogni post a tema ricevessero vagoni di insulti ed improperi (legittimi, così come è legittimo il loro post) sono sicuro che smetterebbero rapidamente di scrivere.

Da qui la mia conclusione. E' importante far capire a questi personaggi che ci sono persone (poche? Tante? Sicuramente molte più di “loro”) che la pensano diversamente. Non nel senso di una differenza di prospettive, ma proprio di una radicale divergenza nella visone del mondo. Devono altresì avere chiaro in mente che frasi come quelle che non so perché sono finite sul mio diario, costituiscono un vero e proprio insulto per alcune persone. Nel momento in cui le scrivono devono percepire che il giudizio di molti pesa sulle loro spalle, che facendo così attirano il disappunto, il biasimo, il ribrezzo di altri esseri umani. Devono sentirsi soli e meschini.

Il difficile sta nel condurre questa azione seza abbassarsi al loro livello. La comunicazione deve passare, forte e chiara, ma senza che traspaia nessuna pulsione, nessun basso istinto, nessun insulto. Perché anche se questi ci sono, la ragione deve rimanere comunque più forte e tenere il controllo di tutto. Bisognerebbe elaborare un “manifesto per il controllo dell'intolleranza sui social network”.

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