lunedì 21 aprile 2008

Cina, giorno 5

Eccomi qui. Sono in aeroporto a Quingdao ed avrò un po’ da aspettare: in Cina come anche in Europa il venerdì sera tutti i voli sono in ritardo di almeno un’ora. Comunque è poco male: spesso apprezzo la pause forzate nei viaggi di lavoro perché sono una scusa per prendere un po’ fiato e ripensare con calma a quello che si è fatto e che rimane da fare. E poi l’aeroporto è molto bello, pulito, ordinato e ben illuminato. Rimango sempre un po’ sconcertato dal fatto che gli aeroporti italiani siano i peggiori nei quali abbia mai volato.

Oggi termina la prima parte del mia avventura in oriente: i 5 giorni lavorativi sono passati e da stasera comincio ufficialmente la mia settimana (che poi sono 10 giorni…) di ferie a Pechino. Dal punto di vista lavorativo il bilancio è positivo, anche se il viaggio non è stato molto produttivo. Se fossi stato nel direttore avrei deciso di lasciare qualcuno per 15 giorni in Cina, con il compito non solo di iniziare il lavoro, ma di portarlo a termine con un risultato positivo. Invece, all’insegna della solita frenesia, abbiamo dovuto cambiare 3 città in 5 giorni, aprendo mille discorsi che saranno comunque da gestire dall’Italia. Per il capo il lavoro è terminato, per me comincerà appena scendo dalla scaletta a Malpensa. Questa ingiustificata (per me) ricerca della velocità e del risultato in tempi brevissimi è una delle motivazioni che ultimamente mi rendono poco sopportabile il mio lavoro. Se avessi le stesse motivazioni di due anni fa, probabilmente ora starei scrivendo uno dei numerosi report che dovrò presentare, ed invece sto scrivendo sul blog…

Lascio Quingdao con due impressioni forti. La prima è la sorpresa nel trovare una città all’avanguardia da molti punti di vista, e che con la scusa delle Olimpiadi, sta incrementando ulteriormente le proprie attrattive. Nonostante i numerosissimi cantieri, la città rimane molto vivibile, pulita, ordinata. Nonostante il traffico gli spostamenti non sono difficili, né lunghi. Nonostante i 9 milioni di abitanti, la spiaggia (lunga 40km) è perfettamente pulita e l’acqua del mare è trasparente. Certamente si trovano quartieri difficili da accettare come residenziali per un occhio occidentale, ma ad un livello superiore a quello di altre città dell’estremo oriente.

La seconda impressione, la più importante, riguarda gli abitanti della Cina. Anche discutendone con i colleghi, si è radicata in me la convinzione che nei prossimi anni avremo certamente da confrontarci con la loro determinazione e la loro spregiudicatezza. Non dico che dovremo temerli, ma dovremo sicuramente smettere di considerarli come disciplinate formiche che necessitano di una guida forte per poter costruire qualcosa di importante. Bisogna cominciare a collaborare seriamente con loro, aiutandoli a crescere e legando a doppio filo le nostre grandi compagnie occidentali con le loro immense fabbriche orientali. Solo così potremo sperare in una crescita, se non armonica, almeno bilanciata. Cercare di tenere salda in occidente la conoscenza tecnica e direzionale è un’utopia, servirebbe solo a ritardare di poco la nascita di nuovi concorrenti, avvantaggiati dalle caratteristiche del mercato. Usarli come meri esecutori, manovalanza a basso costo, fa perdere all’occidente conoscenze tecniche maturate in decenni di industrializzazione (che non si riuscirà più a recuperare), ci mette in una condizione di dipendenza totale e li costringe a sviluppare localmente le competenze necessarie a gestire business internazionali. Bisogna collaborare, esportando il modo di vivere e di lavorare occidentale e mettersi in gioco per competere con loro in tutti i campi.

Un esempio. Qui, nelle fonderie, si lavora ancora su due turni. Di 12 ore l’uno. Però non sarà così per sempre. Quando anche loro arriveranno ad avere una settimana lavorativa di 40 ore, bisognerà contare le aziende occidentali che sono riuscite a tenere testa alla loro concorrenza. Prima arrivano al nostro livello di sviluppo e prima saremo in una condizione di confronto alla pari.

Come fare per accelerare questo processo? Altro esempio. In Cina si possono vendere solo prodotti cinesi, a meno di non pagare tasse elevatissime. Questo per proteggere il loro mercato. In occidente dovremmo allora pretendere che tutti i prodotti importati siano ottenuti nel rispetto delle regole civili e dei diritti umani, per proteggere la nostra civiltà. Invece i mercati guardano solo il vantaggio momentaneo ed effimero dell’acquisto di componenti a basso costo.

E così, mentre i lavoratori della fonderia fanno la loro mezz’ora di pausa nel turno di 12 ore seduti nel piazzale polveroso, i dirigenti ci portano a pranzo al Golf Club, dove una moltitudine di finanziatori da tutto il mondo si gode ottimi piatti internazionali in un atmosfera raffinata ed elegante.

Far finta di non avere bene in testa il quadro completo sarebbe un’ipocrisia inaccettabile. Quindi dovrò ben riflettere anche su questo per decidere che lavoro fare in futuro.

Ora cambio argomento. In questi giorni ho avuto occasione di leggere il China Daily, quotidiano nazionale cinese in lingua inglese. Gli articoli sul Tibet si collocano a metà strada tra il delirante ed il grottesco. Dipingono frotte di tibetani inferociti che assaltano poveri pionieri cinesi indifesi. Il Dalai Lama risulta alternativamente un povero pazzo, completamente isolato rispetto ai suoi connazionali, oppure un terrorista al pari di Bin Laden, con in testa un chiaro disegno di annientamento della Cina. Arrivano a chiedersi perché, se le sue richieste sono giuste e condivisibili, 50 anni fa è scappato dalla Cina ed ora rimane nascosto all’estero, invece di tornare in patria a discuterne civilmente. Le cose più sorprendenti di questi articoli sono:

1) la frequente mancanza di riferimenti precisi ed oggettivi a fatti;
2)
la firma degli articoli, spesso senza nome, ma con l’indicazione di cariche fantomatiche. Forse la migliore: “membro del consiglio superiore per lo studio dei diritti umani”, ma cos’è lo studio sui diritti umani???;
3) La smaccata presentazione di opinioni in articoli che dovrebbero essere di cronaca.

Chiaramente sono messi all’indice anche i "pochissimi" paesi occidentali che si sono fatti abbindolare dalla commedia del Dalai Lama. Discuterò di questo anche con Fabio, che di sicuro ha idee più approfondite di me in materia e vi farò sapere quali sono le nostre conclusioni.

Ora sembra che stiano chiamando il mio volo, quindi mi preparo all’imbarco.

Ciao a tutti,

ENRICO

PS: se non mi vede ritornare vuol dire che hanno intercettato questo post e mi hanno arrestato come dissidente tibetano. Manifestate per me!

1 commento:

Unknown ha detto...

Quadro perfetto della situazione. Ma sembra che alle industrie europee interessi solo fare una barca di soldi nel presente, senza pensare alla ricaduta che avremo nel futuro, ergo, forse è meglio trasferirsi direttamente in Cina!

Forza Tibet, forza Dalai e forza Peru.